la lettera
Sull'immigrazione governo e opposizione potrebbero avvicinarsi. Ci scrive Gori
L’espressione “controllo delle frontiere” ricorre anche nelle proposte delle forze progressiste occidentali. Non è in discussione l’obbligo di trarre in salvo chi rischia la vita a terra o in mare, o di dare asilo a chi ne ha diritto, ma serve convincersi che l’ingresso in un paese non può essere indiscriminato
Al direttore - Fa bene a il Foglio a sottolineare il cambio di clima sull’immigrazione. Il contributo del governatore Panetta è rilevante per autorevolezza e perché basato su elementi oggettivi. Il declino demografico fa sì che l’Italia abbia bisogno di molti più immigrati regolari, e rapidamente; ne va della sostenibilità dei nostri sistemi di protezione sociale e del nostro benessere.
A tale riguardo ci sono due aspetti che meritano però d’essere approfonditi. Uno riguarda il governo e uno l’opposizione.
Il primo è l’efficacia dei meccanismi di ingresso legati ai Decreti Flussi. Funzionano? No, e non solo perché si prestano a frequenti truffe ai danni dei migranti, ma perché il principio della richiesta di assunzione nominale – il datore di lavoro che vuole assumere un immigrato deve indicarne le generalità, pur senza averlo mai visto – è contrario al senso comune, e si traduce infatti in un’estesa pratica di regolarizzazione mascherata di persone già presenti irregolarmente in Italia. Cosa di per sé non necessariamente negativa, ma che poco contribuisce ad aumentare lo stock di forza lavoro effettivamente disponibile, e che soprattutto non aiuta in alcun modo a “svuotare” i flussi irregolari.
Il secondo punto, dicevo, riguarda l’opposizione. Che si guardi a Bruxelles – dove sul finire della scorsa legislatura la maggioranza riformista del Parlamento europeo ha approvato il nuovo Patto Immigrazione e Asilo – o a Londra, ovvero al programma del Labour vincente di Keir Starmer, o a Chicago, alle parole pronunciate da Kamala Harris nel suo discorso di investitura alla convention democratica, il refrain è lo stesso: sì alla buona immigrazione regolare, possibilmente qualificata, no con decisione all’afflusso spontaneo di migranti promosso e gestito dalle più diverse organizzazioni criminali. L’espressione “controllo delle frontiere” ricorre (anche) nei discorsi e nelle proposte delle forze progressiste occidentali, non senza accenti di severità. Fatica invece a farsi spazio nel repertorio della sinistra italiana. In alcuni casi con buone ragioni – il Patto approvato in Europa presenta profili assai discutibili rispetto alla gestione delle procedure di screening e di accertamento dei requisiti di ingresso ai confini, con forti rischi di violazione dei diritti umani, per non dire delle pratiche messe in atto dal regime tunisino per “bloccare le partenze” su richiesta dell’Unione Europea – ma in generale in virtù di un vincolo culturale che se non ben calibrato minaccia di approfondire la distanza tra le forze progressiste e il sentire della gran parte dei cittadini, a partire dai ceti popolari. Sarebbe infatti un errore pensare che il problema dell’immigrazione irregolare e delle sue ricadute sui territori sia oggi meno sentito (ne sono prova i diffusi successi delle destre sovraniste alle recenti elezioni europee), e l’Italia non fa eccezione.
Non è in discussione l’obbligo di trarre in salvo chi rischia la vita a terra o in mare, o di dare asilo a chi ne ha diritto. Non sono in discussione né il diritto internazionale né i sentimenti di umanità che debbono ispirare il rapporto con chi intraprende la difficile via della migrazione. Il punto è convincersi che l’ingresso in un paese non possa essere indiscriminato, e che uno stato abbia il diritto e il dovere di gestirlo senza subire l’iniziativa della malavita organizzata che guida il traffico di esseri umani. E’ questo il concetto che deve trovare collocazione anche nell’agenda della sinistra italiana, a meno che non si vogliano ignorare i molti segnali di insofferenza che permangono nei confronti dell’immigrazione clandestina. Se a lungo il dibattito è rimasto intrappolato nella contrapposizione tra “porte aperte” e “porti chiusi”, almeno nella sua rappresentazione mediatica e simbolica, la novità, sospinta dall’emergenza demografica, è che oggi c’è spazio per una “terza via”, che diversi paesi, dal Canada alla Germania, frequentano da anni con successo: forte impulso all’immigrazione regolare, pianificata e ben gestita, possibilmente in collaborazione con i paesi di origine, accompagnata da efficaci politiche di integrazione; e lotta senza quartiere al traffico di esseri umani gestito dalle mafie e raccontato con estrema efficacia da Matteo Garrone in “Io capitano”. Le due cose si tengono, poiché proprio l’apertura di robusti canali di ingresso legale, oggi fortemente caldeggiata dai mondi produttivi, è la più efficace forma di contrasto dell’immigrazione clandestina e del traffico di esseri umani.
Su questo punto l’agenda del governo e quella dell’opposizione potrebbero perfino avvicinarsi, superando una polarizzazione che ha segnato il corso della politica italiana degli ultimi lustri. A condizione, da un lato, che l’opposizione aggiorni la sua posizione sull’immigrazione irregolare, e dall’altro che i canali legali funzionino però davvero, e che si superino cioè le storture che inficiano oggi l’attuazione dei decreti Flussi. Le idee da questo punto di vista non mancano: dal ripristino del ruolo degli “sponsor” all’introduzione del permesso di soggiorno per “ricerca di lavoro” – assistito da opportune garanzie – fino alla concessione del permesso di soggiorno per “comprovata integrazione” per chi è già qui e corrisponda ai requisiti, come misura utile a prosciugare l’ampio bacino dell’immigrazione irregolare che permane nelle nostre città. Se davvero “il governo ha capito”, come titola con ottimismo il Foglio, è il momento di battere un colpo.