Foto Ansa

Il retroscena

L'ultima trattativa Meloni-von der Leyen per Fitto. L'ok al ministro-commissario con un vertice di maggioranza

Simone Canettieri

Il nodo resta la vicepresidenza esecutiva. Le deleghe saranno Pnrr e Coesione che valgono 1000 miliardi di euro. Il ministro teme agguati quando sarà sottoposto all'esame degli europarlamentari. Le dimissioni previsto fra fine ottobre e novembre 

Il come e il quando sono formalità. Se – come sembra – non ci saranno consigli dei ministri questa settimana, il via libera alla designazione del governo italiano di Raffaele Fitto come commissario arriverà al termine del vertice di maggioranza di venerdì prossimo. Ultimo giorno utile, secondo la scadenza imposta dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Se sarà confermato questo scenario – l’assenza cioè di un Cdm in settimana – venerdì al termine della riunione uscirà una nota firmata e sottoscritta da Giorgia Meloni e dai due vicepremier, litigiosi fra loro come non mai, Antonio Tajani e Matteo Salvini. I tre tenori del centrodestra sono pronti, come la vecchia pubblicità “dell’Uomo del monte”, a dire sì. Al contrario, il semaforo verde potrebbe accendersi in cdm qualora venisse convocato prima di venerdì. Eventualità che diverse fonti di primo piano interpellate da questo giornale ieri davano per “residuale”, proiettando la prima riunione dei ministri dopo le vacanze estive a settembre, la prossima settimana. Quello del vertice è un sì politico, quello del Cdm è più istituzionale. Ma la sostanza per Fitto non cambia. La premier deve rispondere alla lettera che le ha inviato von der Leyen lo scorso luglio, subito dopo essere stata rieletta dall’Eurocamera di Strasburgo. Il tempo fugge. E l’Italia insieme a Belgio, Danimarca, Bulgaria e Portogallo è tra i paesi che ancora non hanno espresso il nome del candidato commissario. Non è certo una dimenticanza, quella di Roma. Ma – almeno così dicono a Palazzo Chigi – “il risultato di un negoziato fra Ursula e Giorgia che va ancora avanti”. Tanto che le due sono attese da un confronto telefonico oggi. Non ci sono alternative a Fitto. Il nodo gordiano riguarda la carica di vicepresidente esecutivo. Per il resto, le deleghe, tutto appare imbullonato: Pnrr e Coesione. 

Due dossier che valgono, complessivamente mille miliardi di euro di fondi da gestire (seicento più quattrocento). Per scherzare, ma non troppo, dentro Fratelli d’Italia c’è già  chi chiama il ministro di Maglie “mister mille miliardi”. Se non dovesse arrivare la carica di vicepresidente esecutivo, davanti alle critiche delle opposizioni dalle parti di Meloni sono pronti a ricordare che nemmeno Paolo Gentiloni è stato vicepresidente anche se, va ricordato, ha avuto una delega di primo piano come quella agli Affari economici. Tutto dipenderà dallo schema che ha in testa von der Leyen per la sua futura squadra di governo, a partire dai vice, operativi o meno. 
Meloni in queste ore ha solo un assillo: massimizzare il più possibile la trattativa per evitare critiche già scritte. Del tipo: l’Italia è isolata, ha poco peso, è considerata un paese di serie B nonostante sia tra i fondatori dell’Unione europea, queste sono le conseguenze del no a von der Leyen. La sfida politica della premier si gioca su questo crinale. 


C’è poi il dopo Fitto, altro argomento che bolle in pentola e non proprio banale. Comunicazione di servizio: il ministro e parlamentare rimarrà al suo posto, e quindi non sarà e non si dimetterà, fino a fine ottobre-primi di novembre. Dunque la presidente del Consiglio ha tutto il tempo per decidere. Sia come spacchettare le deleghe (Coesione, Affari europei, Sud e Pnrr) sia, soprattutto, a chi darle. La scelta è totalmente in capo a Fratelli d’Italia: c’è da sostituire un ministro e, volendo, riempire le caselle lasciate libere dalle dimissioni di due sottosegretari Augusta Montaruli e Vittorio Sgarbi. Di sicuro appare difficile che il successore di Fitto non sia in qualche modo benedetto dal predecessore. Perché in virtù delle deleghe che dovrà assumere il futuro commissario, l’idea della premier è quella di creare una  sorta di filiera in un rapporto blindato fra Roma e Bruxelles. 

Ma prima che tutto questo si compia ci sono due passaggi. Il primo riguarda l’esame a cui sarà sottoposto l’esponente di FdI dagli europarlamentari. Un momento che nel governo definiscono non semplice, non tanto per il merito delle domande ma per la linea politica di chi le porrà (i problemi potrebbero arrivare dai Socialisti e dai Liberali). A Palazzo Chigi mettono in conto “agguati”. Superata la graticola, a metà ottobre l’Europarlamento voterà la commissione al completo. Il percorso a ostacoli è appena iniziato.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.