Chi comanda e chi soccombe
Scoop: il melonismo è il femminismo che la sinistra sogna da sempre
Tra mariti licenziati e ministri fantozzizati, il matriarcato di destra assomiglia a quel modello di parità dei sessi tanto agognato (ma mai attuato) dalle forze politiche più progressiste
Le femministe del Pd dovrebbero iscriversi a Fratelli d’Italia, o frequentare casa Meloni. Ai compleanni, per dire, festeggiano solo loro tre. Le due sorelle, Giorgia e Arianna, con la mamma Anna. Niente fidanzati né mariti, mai. Nessun maschio. Da sempre. È consuetudine famigliare. Perché il matriarcato in casa Meloni è un fatto acquisito con la naturalezza allegra dei fenomeni naturali: è così e basta. Semplicemente. Un sistema di equilibri spiccioli sedimentato negli anni, coltivato senza orgogli luciferini e diventato abitudine, tradizione appunto. Così adesso che anche Arianna, la luogotenente e sorella maggiore, ha “licenziato” il marito ministro (e gaffeur) proprio come Giorgia, la presidente e sorella minore, aveva già fatto con il compagno giornalista (e gaffeur), l’uno lasciato con un post sui social e l’altro con una intervista al Foglio, ora che insomma entrambe hanno esercitato in parallelo una certamente sofferta potestà femminile nella loro vita privata riuscendo con una freddezza più simile al disincanto che alla saggezza a mantenere rapporti civili con questi maschi subordinati e rimessi al loro posto, un fatto s’impone all’occhio dell’osservatore.
Altro che Michela Murgia, altro che convegni organizzati dalle senatrici del Pd sul patriarcato e il premierato: ella, cioè Elly, insomma Schlein, vada a pranzo dalla signora mamma Meloni, Anna Paratore. Non c’è forse in Italia esempio d’emancipazione femminile più fosforescente di quello meloniano. Casa, famiglia, governo e partito: comandano le donne in virtù d’una superiorità caratteriale, personale e politica. Talmente acquisita come fatto incontrovertibile, da non essere nemmeno rivendicata o fatta oggetto di quel genere di teorizzazioni ideologiche e propagandistiche che sono il piatto forte della sinistra che teorizza ma assai meno pratica la parità di genere. Una donna di destra, minuta e dal portamento sciolto e deciso, ha conquistato un partito di maschi, s’è affrancata dal padrinato degli uomini che l’avevano tenuta a battesimo come Fabio Rampelli, e camminando così spedita che nessuno avrebbe mai pensato di fermarla è diventata la prima presidente del Consiglio femmina nella storia della Repubblica. Ha annientato senza pietà due maschi incontenibili come Berlusconi e Salvini, ha nominato per la prima volta nella storia una donna amministratore delegato d’una partecipata pubblica, Giuseppina Di Foggia ad di Terna, e poi ha interrotto centocinquant’anni di consuetudine maschile alla Ragioneria dello stato favorendo l’ascesa di Daria Perrotta nel cuore della finanza pubblica.
Infine ha pure replicato il matriarcato famigliare, quello dei compleanni che a casa Meloni (anzi Paratore) si festeggiano solo tra donne, anche a Palazzo Chigi dove ogni cosa è sottoposta all’attenzione della sua seconda sorella acquisita, la segretaria particolare Patrizia Scurti. Insomma a destra, sempre più, il melonismo diventa il simbolo di tutto ciò che probabilmente le donne di sinistra hanno sempre sognato – sarebbe bello se qualcuna di loro ci dicesse cosa ne pensa – compresa la trasformazione del maschio di governo in una figura minore e caricaturale, se non persino fantozziana: chi non si ricorda Meloni, in Parlamento, mentre rende omaggio a Satnam Singh, il bracciante indiano morto dissanguato, che rivolgendosi ai vicepremier Salvini e Tajani immobili e imbambolati dice loro: “Raga’, alzatevi in piedi pure voi”? Il prossimo convegno di Laura Boldrini va fatto ad Atreju. Ma subito.