Il ministro degli Esteri Antonio Tajani parla prima della messa in conclusione della Route 2024 Agesci, Verona, 25 agosto 2024. ANSA/GIORGIO MARCHIORI

La manovra

Forzisti sul Veneto. Il piano di Tajani e Tosi per ingraziarsi i cattolici preoccupa perfino Zaia

Francesco Gottardi

La vecchia Lega può respingere Vannacci, può resistere a FdI. Ma se il vecchio elettorato democristiano abbraccerà Forza Italia, saranno dolori. La sponda con la Cei, l'autonomia sull'altare, l'ex sindaco di Verona forte sul territorio: Tajani sta toccando i tasti giusti

È in corso una manovra a tenaglia di stampo classico. La morsa sul Veneto di Forza Italia: da Verona attacca Flavio Tosi, da Roma orchestra Antonio Tajani. E da nord a sud, predica la Conferenza episcopale italiana. Che non avrà colori di partito, ma fa pur sempre scelte di parte. L’ultima: “L’autonomia è un cavallo di Troia, un pericolo mortale per il meridione, un rischio far west per tutto il paese”, spara via Repubblica il vicepresidente Francesco Savino. Scatenando l’imbarazzo di Zaia. “Sono sorpreso e rammaricato”, risponde il governatore, “ma resto convinto che questa superficialità nella valutazione è frutto di una lettura fuorviante e faziosa dei documenti”. Insomma: il monsignor c’ha fregati, è il pensiero sottostante. “È importante capire se quella del vescovo di Cassano allo Ionio è un’opinione isolata oppure no”, cerca conforto Zaia. Ma dietro le quinte si sa che lo sgarbo dei cattolici sarebbe un duro colpo. Perfino per il doge e la sua annosa riforma.

 

Dietro l’attacco frontale del porporato, ci sarebbe la sapiente regia del “Pio Tajani” – così lo battezza l’Huffington Post, a ragion veduta. È da settimane che il leader di Forza Italia si sta prodigando a oliare gli ingranaggi di un mondo conteso, vasto retaggio democristiano e dunque capace di spostare voti. Dalla Comunità di Sant’Egidio a Comunione e Liberazione. Dai sindacati – Cisl su tutti – agli scout. Di cui il vicepremier è un orgoglioso alumnus e ha appena partecipato al raduno nazionale dell’Agesci a Verona. Presenti anche il cardinale Zuppi, numero uno della Cei, e Tosi, segretario dei forzisti in Veneto. Le tessere iniziano a combaciare. Tajani s’è accattivato la piazza sfoderando tutti gli slogan di repertorio e anche di più: pace in Medio oriente, sguardo vigile sull’autonomia, ius scholae. Su quest’ultimo ci ha costruito l’estate di governo. “Un atto di intelligenza, sociale, culturale e politica”, applaude la Cei. Mentre gli scout ci hanno messo un attimo a dare il benservito a Renzi – altro alumnus, ma démodé – per riabbracciare il partito del Cav. Manca soltanto la terra di Zaia, fu baluardo dello scudo crociato che elettoralmente lo anticipò. “Mo’ ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost”. Tradurre in dialetto veneto.

È il Veneto infatti – o il Lazio, la Campania, ad altre latitudini dell’agone politico – il fine ultimo della traiettoria forzista. Dispiegata fra presenza in loco e dichiarazioni accuratamente incastonate. “Tosi è stato un eccellente sindaco di Verona”, dice Tajani, sempre in questi giorni. Sembra buttare acqua sul fuoco. Poi rilancia: “Noi non imponiamo niente, ma non vogliamo neanche imposizioni. Discuteremo con gli alleati il futuro della regione e il nostro nome sul tavolo è quello di Tosi”. A stretto giro, Tosi rompe le catene. “Per il dopo Zaia ci sono io. Ormai nella Lega è in minoranza. Bossi diceva mai con i fascisti e Vannacci è uno di loro”. E pazienza se il senatur, all’epoca, accusava proprio Tosi di aver portato i fascisti dentro il Carroccio: la nuova Forza Italia rimescola tutte le carte. All’attacco, rinfrancata pure dai sondaggi. Secondo l’ultima rilevazione Quaeris, sarebbe proprio il veronese a tallonare la meloniana Donazzan fra i candidati più apprezzati nel centrodestra. Seguono a distanza i leghisti Conte e Marcato. Anche perché molti altri militanti della vecchia guardia – Boron, Vallardi, la lista è lunga – sono già passati dall’altra parte dopo il lungo corteggiamento di Tosi: alle europee impatto modesto, ma in chiave amministrativa l’esito potrebbe essere ben altro. Ne sono consapevoli sia la Lega sia FdI, che infatti sono tornati giocoforza a spalleggiarsi. Almeno a parole.

Di nuovo, i numeri rischiano di essere fuorvianti. A preoccupare gli zaiani infatti non sarebbe tanto il peso elettorale attorno a Giorgia Meloni, che alle regionali – secondo ogni buon venetista – si squaglierebbe dinanzi alla voce del territorio. “Il Veneto non è mai stato di estrema destra”, assicurano attorno al doge, senza temere nemmeno la deriva Vannacci. Vero. Ma l’operoso Veneto era stato a lungo e nel profondo democristiano. Anzi sempre, dal Dopoguerra in poi. E prima dell’èra Zaia, aveva governato altrettanto il forzista Galan. Non sarà allora che la Liga è l’eccezione, la moda, per quanto duratura? Tajani e Tosi ci scommettono. Riaccendono entusiasmi. Si assicurano la lealtà dei cattolici dando in cambio l’autonomia. E amen per Forza Nord: prima, sempre, Forza Italia. “Siamo abituati a una Chiesa che indica la via, ma stavolta la direzione è sbagliata”, chiosa Zaia. “Se la Cei confermerà l’ostilità al nostro progetto, ne prenderemo atto”. Bandiera bianca. Verde e rossa.