Campi difficili

L'ombra di Grillo sulla Liguria. Bloccata la candidatura di Andrea Orlando

Gianluca De Rosa

Sulla sfida regionale i primi effetti dello scontro tra il fondatore e Giuseppe Conte. Resta ancora  in campo anche il 5 stelle Pirondini

Su tutta la vicenda aleggia incombente un’ombra. Quella di Beppe Grillo. La suggestione è questa: il via libera del campo largo a una candidatura di un esponente del M5s alla guida della regione Liguria. Anche nel Pd c’è chi comincia a pensare che alla fine possa davvero finire così. Sarebbe paradossale. Pensare che solo poche settimane fa sembrava tutto già chiuso, con l’ex ministro dem Andrea Orlando pronto a correre con dietro di sé una coalizione amplissima: da Sinistra italiana fino a Italia viva. L’obiettivo resta questo. A Elly Schlein lo hanno chiesto persino i circoli locali del partito con una lettera aperta. E però la candidatura inattesa del  grillino Luca Pirondini,   il senatore violinista  che Grillo nel 2017  aveva scelto come candidato sindaco di Genova, ha scompaginato i piani. 


Alcuni giorni fa Pirondini ha detto a Repubblica: “In Emilia c’è un candidato Pd, alle recenti comunali si sono fatti certi percorsi, ora è tempo anche per il Movimento di esprimere un proprio nome”. E da allora nulla si è mosso. La Liguria non è una regione a caso. E’ innanzitutto la regione di Grillo. Non solo. Da queste parti il M5s sogna di mostrare di avere una classe dirigente. Alle politiche, ma anche e soprattutto alle europee di pochi mesi fa ha retto. E’ l’unica regione del nord dove ha superato la soglia psicologica del 10 per cento (pur rimanendo a 16 punti percentuali dagli alleati dem). Insomma, in un contesto del genere e con la disputa in corso sul futuro del Movimento tra il fondatore e Conte, le cose per quest’ultimo sono piuttosto complicate.


Non è solo questione di dover trattare con Grillo. In Liguria è già sceso in campo con il movimento Uniti per la Costituzione l’ex presidente della commissione Antimafia, il grillino tutto complotti e supposizioni Nicola Morra, pronto a lucrare consensi qualora il M5s si appiattisse sulla candidatura dei dem. Chissà, forse persino con il sostegno del fondatore con cui, si dice, i rapporti sono ancora eccellenti. Insomma, la Liguria per Conte rischia di diventare il laboratorio di una futura scissione del Movimento. Una proxy war a 5 stelle di cui anche Orlando è consapevole. E infatti parlando con i suoi due giorni fa l’ex ministro si sarebbe espresso così: “E’ giusto che la coalizione possa valutare senza imbarazzi la proposta dei 5 stelle e verificare la sua capacità aggregativa, ma bisogna fare presto”. Il non detto si cela dietro le parole “capacità aggregativa”. Orlando è convinto che il suo nome sia l’unico ad avere la forza di tenere insieme una coalizione sufficientemente ampia da garantire la vittoria. Allo stesso tempo però l’ex ministro non vuole farsi logorare dai problemi interni al M5s. In pratica, se entro la fine della settimana non si chiudesse sul suo nome, lui farebbe un passo indietro. Questione di numeri. I sondaggi che sono in mano ai partiti mostrano che il centrosinistra può farcela, ma le percentuali sono risicate. E se davvero entro la fine della settimana il centrodestra avesse il candidato (in pole c’è la vice di Toti Ilaria Cavo) per il campo largo le cose si complicherebbero.

 

La fibrillazione è ben motivata. Il tempo stringe. In Liguria si voterà il 27 e  28 ottobre. Entro un mese – e cioè entro il 28 settembre alle 12 – dovranno essere presentati liste, simboli e candidature.  Dentro al Pd c’è chi comincia a evocare il fantasma Basilicata. Vi ricordate? Il M5s si impuntò contro la candidatura di Angelo Chiorazzo, il capo delle cooperative lucane già scelto dal Pd come candidato. Seguirono giorni di tira e molla alla ricerca di un nome che andasse bene sia a Conte sia allo stesso Chiorazzo. Si finì con un accordo all’ultimo momento utile e l’inevitabile sconfitta.

 

Accadrà lo stesso in Liguria? Anche in Basilicata d’altronde si poteva vincere, ma settimane di estenuanti trattative fecero naufragare le possibilità di successo. “E d’altronde anche allora si chiuse prima la Sardegna con la candidatura della Todde, lasciando la Basilicata scoperta, e quello fu il risultato. Adesso si è fatto lo stesso errore: ci si è accordati su Emilia e Umbria, lasciando da parte la Liguria dove però si voterà un mese prima”, si lamentano esponenti Pd vicini a Orlando. L’idea insomma è che la partita andava chiusa prima: sulla scia dell’entusiasmo della manifestazione di luglio per chiedere le dimissioni di Toti che aveva unito la sinistra (a eccezione di Italia viva). Schlein e i suoi invece erano convinti che ci sarebbe stato un election day con l’Emilia-Romagna e l’Umbria a novembre. Insomma, pensavano ci fosse più tempo. “E invece ci sarà un mese in meno, con lo scontro tra Conte e Grillo a complicare le cose”, si lamenta ancora chi è vicino all’ex ministro. Nel mirino c’è, neanche a dirlo, la premiata ditta Taruffi&Baruffi, nel senso di Igor e Davide, i due dirigenti del Pd (responsabili rispettivamente dell’Organizzazione e degli Enti territoriali) che si occuparono anche ai tempi delle elezioni lucane delle trattative e che la settimana scorsa hanno incontrato per la prima volta Paola Taverna che si occupa del dossier per conto del M5s.
 

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