Il racconto

E alla fine torna Renzi. Con un piano: fuori dalla giunta di Genova, ma dentro a quella di Roma

Simone Canettieri

Appunti e retroscena dalla serata dell'ex premier alla Festa dell'Unità di Pesaro. "Dal popolo Pd accoglienza superiore alle aspettative", dice. Si studia un'uscita dalla maggioranza Bucci e un'entrata in quella di Gualtieri 

Pesaro, dal nostro inviato. “E’ sempr’ in mezz’ com’ el pumdor, el va dappertot”. Nelle cucine della Festa dell’Unità, il cuoco di Lenin a cui va di scherzare dicendo la verità si chiama Stefano Stramiglioli. Ha la barba bianca. Da sempre volontario per il Partito (maiuscolo) in tutte le sue trasformazioni botaniche e di diversa intensità cromatica. Ha iniziato quando era un burdel – da ragazzino – a montare le lampadine in questi ritrovi, ricorda con occhio romantico e un po’ passatista: “C’erano il Pci ed Enrico Berlinguer”. Il cuoco-volontario aspetta Matteo Renzi, anche lui. Come tutti. E con metafora gastronomica lo paragona al pomodoro. E così scherza ancora: “E’ giusto che torni nel campo largo, purché non si allarghi come al  solito”. Poi Stefano gira i tacchi e  torna fra gli amati fornelli a girare il sugo.

A Pesaro, sobria fettuccia di costa che si sente più romagnola che marchigiana ma senza eccessi riminesi tondelliani, il monumento simbolo è del genius loci Arnaldo Pomodoro: è la Palla-mondo. Adagiata a pelo d’acqua in una fontana davanti alla spiaggia, sovrastata da una ruota panoramica, grande come si deve. La ruota è un’altra allegoria di questo ritorno di Renzi in mezzo al popolo dem. Da ex segretario magico e idolatrato a corpo esterno detestato con bagagli in mano, fino a quest’ultimo mercoledì d’agosto. Fra nostalgia e speranze, come nell’immortale finale di “Sapore di mare” (con Renzi-Jerry Calà e il Pd tipo Marina Suma, forse) ma con un sequel davvero tutto da scrivere: “Ragazzi, si vince, Meloni può andare a casa”, ripete Renzi, elettrico, dopo averci dormito sopra.

Sono pensieri in libertà prima di ripartire per Firenze, dodici ore dopo l’accoglienza importante ricevuta alla Festa, culminata con una cena riservata con la senatrice a vita Liliana Segre a casa di una signora pesarese, a cui ha partecipato anche il virologo Roberto Burioni (il comizio è terminato alle 22: complimenti ai commensali per la resistenza).

E comunque: che scena. L’ex capo e il partito che ha portato al 41 per cento, prima di mollarlo per fondarne un altro che ora non scoppia di salute elettorale, di nuovo insieme. Su e giù, cielo e terra, e ora forse di nuovo su (seppur con le reciproche differenze). Signori, salite: altro giro, altra corsa. Come in una ruota panoramica, appunto.

Domanda senza crederci troppo: Renzi è davvero il ritrovato factotum della città “Campo largo” come il “Barbiere di Siviglia” di Rossini, altro figlio nobile di queste parti? A interrogare la sua nota vanità – che non va in ferie e non conosce default – la risposta sarebbe scontata.

C’è però da registrare un dato di cronaca: l’altra sera, nell’insenatura pavarottiana di Baia Flaminia, non solo ha fatto il pieno di curiosi in modalità nessun dorma. Ha strappato risate. Il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia è stato applaudito, più e più volte.  Non solo quando attaccava il direttore del Fatto Marco Travaglio ma, soprattutto, quando ha iniziato a bombardare il leader del M5s Giuseppe Conte, velocissimo ad alzare il braccio come certi difensori di  una volta, per richiamare l’attenzione dell’arbitro (gli elettori) sul fuorigioco da fischiare: “Ci fa perdere voti”.D’alt

ronde questo amorazzo estivo nel centrosinistra, che poi è un ritorno di fiamma con comprensibili dosi di sfiducia, nasce proprio in un campo da calcio, in quel dell’Aquila. Il 16 luglio durante la Partita del cuore, con Elly e Matteo che si abbracciano, che si fanno fotografare in braghette, sudati e uniti, sorridenti e soddisfatti.

 


Alla fine dell’evento di Pesaro – si capirà se grande o piccolo – non ci sarà nemmeno una contestazione, un urlaccio. Niente. Manco una mezza pernacchia o un ululato dal fondo della platea: tutte eventualità che erano state messe  in conto dalla giornalista Myrta Merlino, moderatrice del dibattito con l’europarlamentare del Pd Matteo Ricci, sindaco ad honorem e anguilla capace di navigare fra mille correnti in questi ultimi dieci anni, nonché architetto dell’operazione reunion. Ricci lo fa per il centrosinistra nazionale, ma anche per quello regionale visto che sarà candidato – con molta probabilità – alla carica di governatore (alle europee ha preso nelle Marche 51.996 preferenze). Così assicurano tutti, e anche lui lo sa.

Ricci ha fatto da gruppo spalla al rientro sul palco del centrosinistra del capo di Iv in questo contesto democratico (tocca citare di nuovo gli Oasis?). La star non è mai stata fischiata dai loggionisti del Pd, pubblico che di solito non le manda a dire e che se la lega al dito.

Matteo Renzi, dopo una notte impastata di euforia, dice agli amici che “è andata decisamente meglio di qualsiasi più rosea previsione. Pieno di gente, abbracci prima e dopo, applausi à gogo. Anche dagli schleiniani, non solo dagli ex renziani. Bene bene bene”.
E così è stato. Una sorpresa, e dunque una notizia ascrivibile alla categoria “strano, ma vero”.

Impossibile sostenere che Ricci avesse addomesticato, messaggiato e massaggiato il pubblico locale in vista dell’evento: troppa gente. Oltre 1.500 persone. Un record per gli addetti alle cucine che alla fine sono stati costretti a dare indietro i soldi a chi aveva già fatto lo scontrino alla cassa e si era messo in fila. Tagliatelle stirate a mano con ragù di piselli, grigliata mista, pasticciata alla pesarese con erbe cotte:  tutto terminato. E’ l’indotto economico dell’evento che non ha creato mal di pancia al pubblico.

Eppure la schiera di inviati dei giornali arrivati qui sull’Adriatico - gli stessi che ieri sono andati a seguire la riapparizione dopo le ferie della segretaria Schlein alle feste dell’Unità di Abbadia San Salvatore e a Campiglia Marittima – si aspettavano, forse, un momento tipo De Gasperi alla Conferenza di pace di Parigi (“Prendo la parola in questo consesso e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa ritenere un imputato, l'essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione”).

Non è stato così: non eravamo al Palais de Luxembourg e Renzi ha fatto Renzi, sempre all’attacco e mai di rimessa, guascone e autocritico quanto basta (cioè: zero). Ma allora come si spiega tutto questo? La sfiducia verso un politico in grado di far saltare premier, alleanze e patti come tappi di lambrusco viene comunque dopo la voglia di Fronte popolare anti Meloni? Esiste un’eterogenesi dei fini? Siamo già ai purchessia e nonostante?

Sono domande che restano dopo una serata vissuta con una certa apprensione dallo stato maggiore di Italia viva, questo va detto. Bastava osservarli. Prima che Renzi si presentasse alla festa sono spuntate le sue truppe in modalità bonificatori del territorio: il deputato ed ex tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, il consigliere regionale del Lazio e già numero due del Pd di Roma nonché ex parlamentare Luciano Nobili, il dirigente romano di Iv Marco Cappa, e Mattia Peradotto   direttore generale dell’Unar   (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) presente forse quindi per lavoro e già segretario particolare della ministra Elena Bonetti (ora con Carlo Calenda). Tutti arrivati prima, con due auto civetta, per annusare l’aria e salutare Lucia Annibali, pesarese, ex deputata, presente anch’ella.  

“Tutto tranquillo, capo. Negli stand si raccolgono firme sul referendum contro l’autonomia e per la legge sul salario minimo. Passo”. “Ok, arrivo. Passo”. Nessun problema, anzi. Anche un buon numero di selfie (ne abbiamo contati dodici). Ritorno sereno, non nell’accezione renziana, filato via liscissimo.E così sarà con le dichiarazioni dell’amico ritrovato, o ospite gradito, prima delle 20 per i tg più importanti dietro lo stand del Pd. “Sembra di essere tornati indietro nel tempo”, dice Nobili.

Sbrigato il rito le telecamere, e prima dell’intervista sul palco, la compagnia delle opere renziane con Ricci e Merlino andrà a fare l’aperitivo in uno stabilimento balneare, quello dei Gemelli, intorno a una vecchia barca spiaggiata. Bollicine per l’ospite e Spritz a nastro per gli altri. Lunga tavolata queer con il figliol prodigo al centro. “Vieni qua seduta vicino a me, così ti rovino la carriera”, dirà Renzi alla trentenne Chantal Bomprezzi, segretaria regionale del Pd, mozione Bonaccini, ma ora a capo del partito con un vice tendenza Elly. “E’ una bella iniziativa, è il senso della nostra festa: allargare e discutere. Non a caso ci saranno anche Landini, D’Alema ed Elly, ovviamente, in chiusura domenica”.  

All’aperitivo si aggiunge, ormai al tramonto, anche Claudio Mancini, deputato romano del Pd, regista delle scelte di Roberto Gualtieri ma anche animatore di “Rete democratica”, nuova corrente del Pd per gli amanti del genere, che conta anche teste pensanti come Goffredo Bettini e pezzi da novanta à la Andrea Orlando. E poi: Arturo Scotto, Gualtieri e di sicuro Ricci, soprannominato “il pupillo”. E’ un’operazione romana, questa. Com’era chiaro. Un pezzo di Pd vuole costruire e dialogare con una gamba centrista e liberal con Renzi, ma magari anche con Calenda e, obiettivo, Beppe Sala, sindaco smart di Milano e finora grande mistero della politica italiana: gli piace, ha i numeri per farla, pensa solo a un bosco largo verticale?

Prima del palco Mancini era curioso e forse un po’ preoccupato. Anche lui la mattina seguente sarà “colpito” dall’accoglienza, segno che l’esperimento è andato più che bene. C’è ancora una connessione sentimentale fra l’ex leader e la sua ex base al grido “ricacciamo il melonismo dentro Colle Oppio?”. E’ davvero così o siamo davanti a quelle partite del calcio agostano che fanno sognare le curve prima di iniziare di nuovo a giocare per la lotta salvezza? “E’ l’inizio di un percorso: in autunno faremo nuove iniziative”, dicono Ricci e Mancini. Due tipi da spiaggia incontrati il giorno dopo sul lungomare, fuori da un ristorante a pranzo: in infradito di gomma l’europarlamentare, e con le Birkenstock, ceto medio riflessivo, il parlamentare romano. “Adesso lavoreremo per far parlare, grazie anche a Bettini, Renzi e Conte”, dice ancora Mancini, a cui vanno sentiti auguri. Ricci a questo proposito dice che se si indebolisce Conte, poi torna Grillo o peggio Alessandro Di Battista e addio tentativo di alleanza larga.

Alcune cose potrebbero accadere per scrollare ancora di più l’albero del campo largo. E da qui uno scenario molto interessante su cui si sta lavorando e che il Foglio è in grado di anticipare: se il centrosinistra vuole un pegno d’amore da Renzi potrebbe arrivare a Genova dove Iv ha due consiglieri in maggioranza ed esprime un assessore. Si studia un’uscita dalla giunta e dalla maggioranza che sostiene il sindaco Marco Bucci. In compenso si ragiona   in un ingresso nella coalizione e forse giunta di Gualtieri, appoggiato da Iv (ma anche da Azione) in Aula Giulio Cesare su un argomento fatale e qualificante per la capitale come la costruzione del termovalorizzatore inviso alla sinistra-sinistra (oltre che al M5s di Virginia Raggi che sta all’opposizione). Roma-Genova, andata e ritorno. Si lavora su questo scenario, già sul tavolo e pronto a prendere vita a settembre. Se ne parla. E sembra “logico” a molti. Anche perché gli equilibri di Palazzo Tursi si portano dietro quelli dell’intera Liguria. E’ questione di giorni, al massimo un paio di settimane. Basterà che la vicenda della candidatura di Andrea Orlando sarà più chiara e magari benedetta da Schlein, la cui ostensione, come si diceva, è avvenuta ieri, dopo lunga sommersione agostana. Renzi è pronto a dare questo segnale, a parlarne, per dimostrare a Schlein che si può fidare (al contrario è più complicata una mossa simile in Basilicata dove si è votato da troppo poco tempo). Basterà la ritirata da Genova o mossa della Lanterna per placare Conte e i contiani che invece vedrebbero bene l’ex rottamatore in Arabia Saudita con un biglietto di sola andata? Il dibattito è aperto, e comunque qualcosa si muove. Di sicuro fra la segretaria del Pd e quello di Iv, travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di Pesaro (che fino a poco tempo fa era pieno di mucillagine e ora è di nuovo balneabile). La segretaria tace e sembra acconsentire, dice a tutti gli altri leader che non bisogna mettere veti ed è pronta da azionista di maggioranza dell’alleanza a fare la federatrice. Non è ingenuità ma cinismo politico, racconta chi la conosce bene. Dote che non dispiace a Renzi che ne è cintura nera, terzo dan. Pesaro resta uno snodo per dove ancora non si sa. Nelle cucine della festa contano gli incassi. Ultimo blitz: scusi, ma sono terminati anche gli spiedini di pollo?

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.