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a sinistra

Bettini, D'Alema e il duello dei consigli

Salvatore Merlo

Il gran visir del Pd chiama Conte e gli raccomanda Orlando, determinando l'accordo per l'alleanza in Liguria. D'Alema si lamenta: Schlein non mi telefona

La Rochefoucauld diceva che i vecchi ci danno dei buoni consigli per il dispetto di non poterci più dare dei cattivi esempi. Dev’essere per questo che domenica mattina, Goffredo Bettini, detto il monaco (o il saggio), insomma il gran visir del Pd che fu, ha afferrato il telefono e ha chiamato Giuseppe Conte. Ti do un consiglio. Appunto. Un buon consiglio, s’intende. “Prenditi Andrea Orlando”, gli ha detto. “Candidalo in Liguria”, ha insistito. “Lui è sempre stato per il dialogo con il M5s”, ha spiegato. “E poi è stato tuo ministro”, ha ricordato. Sicché quello, cioè Conte, forse già convinto per i fatti suoi (chissà), ha subito aperto al patto ligure col Pd. A quanto pare, infatti, la candidatura dell’ex ministro della Giustizia è cosa fatta. Merito anche del vecchio Bettini che consiglia Conte e vuole consigliare anche Elly, cioè ella, insomma Schlein. Forse. Ma il problema non è questo, in realtà. Il problema è che Massimo D’Alema deve aver saputo della telefonata. Non sappiamo come, ma l’ha saputo.
 

Ma Conte non si consigliava con me? E Schlein perché non mi telefona mai? Siamo maliziosi, certo, ma pensiamo sia andata così. Altrimenti non ci spieghiamo fin in fondo la scena andata in onda domenica pomeriggio sul palco della Festa dell’Unità di Pesaro. “Non nascondo  che qualche volta mi sarei aspettato dal Pd una domanda: ma tu, D’Alema, cosa pensi?”, ha detto ad Antonello Caporale che lo intervistava. Ecco. Se non proprio Conte, almeno Schlein lo chiami qualche volta per sapere cosa pensa. Diamine. E che ci vuole. Però non si abbatta D’Alema – gli ha detto Caporale: lei è stato invitato qui alla Festa dell’Unità, il pubblico la ascolta. E lui: “Ma solo per parlare di Berlinguer. Non del Pd”, partito al quale lui potrebbe (e certamente vorrebbe) insegnare come respirare, crescere, amare e vivere. E se la richiamassero in servizio? “Sto bene dove sto. Ma se chiedono un consiglio, un’idea...”. Insomma sotto i baffi capiamo che egli c’è, fiammeggiante ma indistruttibile come sempre.
 

E come sempre capace di adoperare dei termini perentori e totali che ci riempiono di soggezione e di spavento. D’Alema è d’altra parte uno dei pochi al mondo, ha ricordato lui stesso a Pesaro, a essere stato chiamato dai cinesi (altro che Schlein e Conte) per spiegare loro la guerra in Ucraina e il nuovo ordine mondiale. Xi Jinping ha bisogno di lui. Per capire Putin e Netanyahu, la Cina ha bisogno di D’Alema. Altro che Bettini. “Settanta personalità sono state convocate a Pechino, di cui sette europei, e io tra questi”. Non sappiamo se D’Alema sia stato molto o scarsamente applaudito a Pesaro (di Pechino sappiamo ancora meno), ma se si è sentito anche qualche fischio egli ha fatto bene a non preoccuparsi: è lui che sibila quando si sgonfia da qualche parte.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.