La lettera
Difendere la democrazia oggi significa sostenere Israele e Kyiv senza ipocrisie
Il modello di civiltà occidentale è fatto oggetto di una sfida a livello globale. Il compito di chi si riconosce sinceramente nei valori costituzionali non può che essere quello di respingere l’attacco e difendere i nostri principi, anche quando è difficile o complicato da spiegare, senza titubanze. Ci scrive Scalfarotto
Al direttore - Viviamo una fase nella quale il modello di civiltà occidentale – quello delle liberal-democrazie, con le sue libertà e le garanzie dello Stato di diritto – è fatto oggetto di una sfida a livello globale. I protagonisti di questa sfida sono Cina, Iran e Russia, e gli eventi degli ultimi 2 anni, in Ucraina e in medio oriente sono chiaramente le mosse più significative fatte dai tre protagonisti della sfida sullo scacchiere internazionale in quella direzione.
L’aggressione all’Ucraina e il massacro del 7 ottobre hanno dunque un evidente comune denominatore: quello di mettere in crisi il modello occidentale a cui l’Ucraina aspira con decisione e che fa da sempre di Israele l’unico avamposto democratico di quel quadrante geografico. Questa è la ragione per cui io credo che chi si riconosce in un’ottica non semplicemente liberale ma più ampiamente progressista e democratica, non possa in linea di principio che schierarsi dalla parte dell’Ucraina e di Israele.
Questo, attenzione, non significa condividere o giustificare tutte le scelte dei governi pro-tempore di quei due paesi. Quello che intendo è che la salvaguardia di Israele, della sua esistenza e del suo diritto di difendersi, e la piena indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina sono patrimonio di chi si riconosce in una democrazia costituzionale come la nostra, difendendone i valori, i principi, la struttura. La difesa di quel patrimonio, messo in pericolo su quei due fronti, significa anche assumersi l’onere di scelte difficili, pesanti. Se stiamo difendendo il nostro modello democratico da chi vorrebbe sostituirlo con un’autocrazia o con una teocrazia, questo significa che in quei due scenari di guerra si combatte anche per cose che ci riguardano direttamente. In fondo, per cessare le due emergenze, basterebbe che la Russia si ritirasse dall’Ucraina, cessando le ostilità che ha aperto illegalmente e unilateralmente, e che l’Iran rinunciasse al progetto di distruggere Israele, ordinando ai suoi proxy di comportarsi di conseguenza: Hamas liberando immediatamente gli ostaggi e Hezbollah smettendo di bombardare il nord di Israele – che ha provocato decine di migliaia di sfollati – ritirandosi al di là del fiume Litani, come previsto dalla Risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Questo, dicevo, non significa approvare tutte le scelte del governo Netanyahu, che – essendo Israele una democrazia – si trova del resto a fronteggiare una fortissima opposizione interna. Hamas ha utilizzato il sacrificio del proprio popolo come arma politica, sapendo che più vittime ci sarebbero state, più lo Stato di Israele sarebbe stato in difficoltà davanti all’opinione pubblica internazionale. Le strutture militari e logistiche costruite negli anni sotto obiettivi civili io credo costituiscano un crimine di guerra equivalente a quello di chi procura vittime civili colpendole indiscriminatamente. Ma la strage di innocenti a Gaza non è comunque più tollerabile e va fermata, e dunque bisogna auspicare che lo sforzo del presidente Biden si concluda con un successo e che quanto prima è possibile si verifichino il cessate il fuoco e la contestuale liberazione di tutti ostaggi superstiti (e, tristemente, dei corpi di quelli morti)
Sull’Ucraina bisogna rompere un’ipocrisia. Se pensiamo che debba resistere e difendere la propria indipendenza, bisogna darle gli strumenti per farlo. Nessuno pensa che si debba bombardare Mosca, come sconsideratamente ha dichiarato il ministro Tajani in una recente intervista a Repubblica. Ma si deve concedere agli ucraini di fermare gli attacchi da dove arrivano, metterli in condizioni di difendersi davvero, se siamo seri rispetto alla minaccia russa ai valori delle democrazie occidentali. Non può certo essere un caso che le tesi del ministro Tajani siano state condivise soltanto dall’Ungheria, quinta colonna di Putin nell’Unione Europea. La verità è che le autocrazie contano su quello che considerano il punto debole del mondo occidentale: la libertà di parola e quella di pensiero, quelle che consentono loro di puntare alle preoccupazioni delle nostre pubbliche opinioni e magari di orientare il nostro dibattito politico in direzione delle loro tesi. La manipolazione delle nostre società per indebolire le nostre libertà e le nostre garanzie è il rischio più insidioso che corriamo. Il compito di chi si riconosce sinceramente e senza infingimenti nei nostri valori costituzionali non può che essere quello di respingere l’attacco e difendere i nostri principi, anche quando è difficile, anche quando è scomodo o più complicato da spiegare, senza tentennamenti e senza titubanze.
Ivan Scalfarotto, Italia Viva