l'intervista
"Che voto a Sangiuliano? Per i risultati ci vuole tempo, e una classe dirigente". Parla il filosofo Zecchi
“Far quadrare i conti e produrre cultura non è facile. Senza classe dirigente e collaboratori capaci non si va da nessuna parte”, dice il filosofo Stefano Zecchi
Ma al di là del caso Boccia, qual è il giudizio del “mondo della cultura” sul lavoro di Sangiuliano come ministro? “Ha tentato un’operazione molto difficile, provando a rompere dei santuari e aprendo a realtà culturali che venivano messe in disparte. Ma per rivendicare risultati concreti è un po’ presto”. Il filosofo Stefano Zecchi è stato tra i primi a perorare la causa del cambio di egemonia. Qual è la sua valutazione? “Credo che alla Biennale di Venezia e al Maxxi i nuovi direttori stiano cercando di rompere i vecchi schemi. Le nomine però sono tutte di giornalisti. In più le cose migliori le fai solo grazie ai collaboratori. E la destra deve ancora dimostrare di avere una vera classe dirigente”.
Il filosofo e scrittore Stefano Zecchi il nuovo corso della cultura italiana lo vive proprio dalla sua Venezia, dov’è consigliere con delega alla Cultura consegnatali dal sindaco Luigi Brugnaro. E dove osserva da vicino gli sviluppi del nuovo Festival del Cinema (rimasto in capo, però, al vecchio direttore Alberto Barbera). Andiamo oltre le polemiche di queste ore: gli scontrini, le mail, le stories dal ministero di Via del Collegio Romano. Sangiuliano è riuscito a incidere davvero o è rimasto a una visione un po’ semplicistica di riequilibrio dell’egemonia culturale italiana, ridotta a slogan o a mostre spot, come quella di Tolkien? “La prima notazione che mi sento di fare è questa: la gran parte delle nomine sono tutte di giornalisti. Non ho ancora capito perché, visto che non è che per nobilitare quest’area culturale si debba per forza pescare solo dai giornalisti”. Detto ciò, riconosce Zecchi, “soprattutto alla Biennale di Venezia con Pietrangelo Buttafuoco si è cercato di rompere gli schemi del passato. Prima la Biennale si contrapponeva fortemente all’amministrazione, di centrodestra. Adesso c’è un’attività molto più coinvolgente dei due enti. E’ un percorso che può portare a dei buoni frutti”.
E al Maxxi di Roma? “Anche lì il Museo si era trasformato in un feudo di Giovanna Melandri. E adesso è in corso, con Alessandro Giuli, una dinamica diversa. Ma certo per vedere risultati concreti c’è bisogno di tempo. Anche perché come faccio a valutare il lavoro di un direttore o di un presidente rispetto al suo predecessore? I direttori hanno una serie di compiti amministrativi molto gravosi. Uno dei fattori più importanti è circondarsi di una serie di collaboratori che possano accompagnare il lavoro dei vertici. Perché come diceva l’Avvocato Gianni Agnelli ‘i risultati migliori li ho raggiunti grazie ai miei collaboratori’. Ecco, credo che in questo la destra debba ancora dimostrare di possedere una vera classe dirigente”.
Un altro banco di prova da cui, secondo Zecchi, si potrà valutare il lavoro di costruzione di questa tanto propagandata egemonia è la Rai, “su cui intervenire per valorizzare il lavoro culturale è difficile. Anche lì dipenderà dalla scelta dei nomi, delle persone”. Ciò detto recuperare il terreno perso nel corso dei decenni, secondo Zecchi, non è affatto scontato. “E’ dal secondo Dopoguerra che la sinistra si è appropriata degli spazi di gestione della cultura. Case editrici, istituzioni accademiche e culturali. L’egemonia si costruisce anche e soprattutto così”.
Sangiuliano, invece, è sembrato essere più interessato a diffondere una contronarrazione, al di là di una serie di scelte specifiche, che valorizzassero davvero il talento nella gestione di un’istituzione culturale? “Ma non è che prima ci fosse una cultura di sinistra. Ripeto, l’egemonia è derivata dall’occupazione degli spazi. Non è che Franceschini fosse un pericoloso estremista di sinistra, bensì un democristiano. L’occupazione è legittima. Ma va fatta con persone di qualità”.
Secondo il filosofo veneziano, “anche i governi Berlusconi si sono dimostrati poco attenti alla gestione della cultura, preferendo concentrarsi sulla televisione”. In sostanza, invece di rivendicare ossessivamente un bilanciamento in ogni ganglo culturale dello stato, di farsi notare per un atteggiamento oppositivo a tutto quel che c’era prima, scomodando Antonio Gramsci, non sarebbe meglio lavorare sottotraccia sapendo raccogliere i frutti di una semina lungimirante? “I risultati si vedranno solo nel lungo periodo. Far quadrare i conti e produrre cultura non è facile. Senza classe dirigente e collaboratori capaci non si va da nessuna parte”.