Il caso

I dubbi di FdI, il gelo degli alleati, l'ansia del Colle. La resa di Meloni su Sangiuliano prima di volare da Zelensky

Simone Canettieri

Per la prima volta da quando governa la premier è stata costretta a subire gli eventi. Tutti gli errori di una gestione, politica e mediatica, fallimentare del caso

Non va a Verona al G7 dei Parlamenti, ma si collega da Roma: deve gestire la più dolorosa e ormai scontata delle scelte come le dimissioni di Gennaro Sangiuliano. Con questa mossa Giorgia Meloni vede sfumare il sogno che tante volte aveva annunciato e accarezzato: finire il suo mandato a Palazzo Chigi con la squadra che scelse nell’ottobre del 2022. Con il cambio del ministro della Cultura – sostituito dal presidente del Maxxi ed ex vicedirettore del Foglio Alessandro Giuli – la premier certifica anche il disastro nella gestione dell’affaire Boccia-Sangiuliano. Disastro politico e comunicativo. Una vicenda bollata lunedì “come gossip”, al netto di  possibili reati, e diventata una slavina quattro giorni dopo.

Giuli riceve la notizia della nomina da Meloni intorno alle 15. Dopo il passaggio obbligato della premier con il capo dello stato. Sergio Mattarella in questi giorni aveva seguito la vicenda in preoccupato silenzio. Quando è stato interpellato non ha avuto dubbi.

 
Meloni cambia drasticamente strategia dopo le lacrime di Sangiuliano al Tg1. Un altro capolavoro di autolesionismo frutto di un’intervista condotta dal direttore Gian Marco Chiocci (che da giornalista di destra, dopo Gianfranco Fini con la casa di Montecarlo, in maniera più o meno volontaria, ne accoppa un altro). 

“Il pianto crea empatia solo se si è dalla parte della ragione, se si è una vittima: altrimenti si rischiano effetti alla Chiara Ferragni, Fedez o Soumahoro. E la gente ti sfotte e ti volta le spalle”, ragionano a Palazzo Chigi per giustificare una serie di scelte abbastanza fallimentari davanti all’esplosione del caso, all’inizio  mal pesato. 

Lo stillicidio di stories su Instagram della sedicente imprenditrice di Pompei Maria Rosaria Boccia, l’intervista di quest’ultima alla Stampa e quella attesa questa sera su La7 hanno piegato il muro della premier. Fattori a cui si sono aggiunti i dubbi sulla tenuta di Sangiuliano in vista del G7 della cultura, le critiche dei militanti, il timore di ripercussioni nei sondaggi, le prime pagine dei quotidiani esteri. E poi certo ci sono state le inchieste della Procura e della Corte dei conti che ieri hanno iniziato a fare capolino.    

Per tutti questi motivi Meloni a malincuore ha dovuto cedere: troppi fronti aperti da sostenere con un’opinione pubblica ostile.  Regala così un punto alle opposizioni e ai giornali, categorie che non ama. Dentro Fratelli d’Italia, in un venerdì nerissimo come questo, sono anche costretti ad ammettere che per la prima volta “Conte e Schlein si sono mossi bene: non hanno cavalcato il caso in prima persona, non hanno presentato mozioni di sfiducia e non ci hanno permesso di  ricompattarci”. 


Resterà  questo un giorno particolare nella storia dell'esecutivo: per la prima volta  la premier è stata costretta a subire gli eventi. Troppo caos e input negativi intorno a lei, troppi consigli di opinionisti di destra, a lei cari, che le dicono: fallo dimettere, ne va della tua tenuta. E così è.

Anche nei passaggi politici che fa con due vicepremier, Matto Salvini e Antonio Tajani, la presidente del Consiglio registra una chiara e totale freddezza sul caso. “Noi, cara Giorgia, non difendiamo Gennaro né lo attacchiamo: il ministro è di Fratelli d’Italia, tu sei la premier, crediamo che sia inutile chiederci un parere scontato”, le  dicono, in soldoni, i leader di Forza Italia e Lega.

E così Meloni è costretta alle 19 a salire al Colle per il giuramento di Giuli. Una scelta obbligata per scansare l’incubo del rimpasto, tavola degli appetiti della maggioranza, con una sostituzione lampo.

Volta a evitare fra qualche mese di dover passare dalle Camere quando ci sarà da rimpiazzare il futuro commissario Ue Raffaele Fitto, detentore di ben quattro deleghe e con ogni probabilità anche Daniela Santanchè, sulla cui testa pendono due richieste di rinvio a giudizio, con udienze preliminari fissate a ottobre.

Per maligna ironia del destino “le dimissioni irrevocabili” di Sangiuliano diventano pubbliche in contemporanea con le anticipazioni di Boccia a La7: “Ho votato Meloni: è una donna in gamba”. La premier dopo il Quirinale vola a Cernobbio per cenare a Villa d’Este con il presidente ucraino Zelensky. Sperando di parlare, finalmente, di cose serie.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.