Il calcio dell'asino. Grillo e il dileggio dei grillini

Salvatore Merlo

Li ha trasformati da zucche in parlamentari, e adesso loro lo sbeffeggiano e lo trattano come un vecchio babbione. Ancora una volta la nemesi ha fatto un lavoro asciutto e pulito.

Una cosa, e una soltanto, è oggi garantita a Beppe Grillo, il fondatore sconfitto che si aggira intorno al M5s con l’aria di un vecchio tricheco escluso dal branco: l’ingratitudine di quelle zucche che lui aveva trasformato in deputati, senatori, sottosegretari e ministri. Quelli che oggi stanno tutti con Giuseppe Conte, un altro che  arrivò nel partito fondato dal comico Grillo e dal cliccoarca Casaleggio come un signor Nessuno, un oscuro provinciale passato, per così dire, dai tavoli da biliardo ai saloni del Ritz soltanto grazie a quell’incongrua lotteria del destino che è stato il M5s. Un ascensore sociale. E fa davvero impressione leggere i commenti, le dichiarazioni o semplicemente osservare come questi ex disadattati arrivati oggi alla seconda legislatura in Parlamento, questi ex crudisti, ex abbracciatori di alberi, ex cacciatori di complotti, ex marzianofobi, ex sgominatori di rettiliani, ex disoccupati cronici, ex falliti e squinternati d’assalto, oggi trattino Grillo come un vecchio babbione. Un rimbambito.

     

Si rimane senza parole nell’osservarli mentre in Transatlantico allargano le braccia con un sorriso ironico toccandosi la testa con l’indice  quando gli si chiede di Grillo, quello che – ci mancava poco – un tempo chiamavano Padrone, Signore, Dio in terra. Tremavano per una delle sue battute senza possibilità di replica. E gli devono tutto. Ieri mattina, per dire, sul Corriere della Sera, un miracolato tra i tanti come Francesco Silvestri, parlamentare per incidente della storia, capogruppo contiano, uno il cui curriculum di pluritrombato a ogni elezione dal 2013 in avanti rifulge per il solo aspetto di essere stato fidanzato con Ilaria Loquenzi che fu potente capo staff del M5s e che lo aiutò a sopravvivere, si è esercitato pubblicamente nella ginnastica più miserabile che esista: il calcio dell’asino. “Fa un po’ specie vedere Grillo appellarsi allo statuto per affermare la sua leadership”. E ancora: “So che Grillo per un altro accordo viene remunerato da noi per farci da consulente e invece attacca Conte: è a dir poco contraddittorio”. Il calcio dell’asino, eccolo.

 

Ora, però, verrebbe anche da dire che ancora una volta la nemesi ha fatto un lavoro asciutto e pulito. Attraverso quella classe dirigente tracotante, rumorosa, violenta, ignorante e reclutata con i metodi bizzarri e sempliciotti che tutti conosciamo – i video di autopromozione, il cartellino penale, i post e le finte votazioni – Grillo ha fatto violenza alla politica, alla grazia civile, alla competenza, al talento, al rispetto degli altri e degli avversari. E alla fine ha cambiato l’Italia. In peggio. Ebbene, che un poco di quel peggio ora gli ricaschi addosso, con gli stessi metodi e la stessa furbizia vile e arrampicatrice con la quale lui ha provato a violentare la democrazia, ora che quella classe dirigente dalle orecchie d’asino lo rinnega e lo dileggia, ecco forse non ripaga ma una qualche soddisfazione morale la dà.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.