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Le dimissioni

Onori all'ex ministro Sangiuliano, le sue lettere, le lacrime. Il racconto dei suoi "nove giorni"

Carmelo Caruso

I complotti, i tentativi di fermare la fuga di notizie, fino alla resa e alle dimissioni da ministro della Cultura. Nella lettera parla di "inimicizie" per le sue riforme. Torna in Rai dove può attenderlo la direzione del Tgr

Ha sbagliato, si è dimesso, è finita. Gennaro Sangiuliano si è dimesso da ministro della Cultura. Cade il primo ministro del governo Meloni, cade un ministro dopo nove giorni di domande,  nove giorni di articoli, rivelazioni, interviste, sulla non consigliera Maria Rosaria Boccia, cade perché “a che titolo?” e “con che faccia?” Sangiuliano poteva restare? Cade, e le rivelazioni di Boccia ora perdono valore. Cade un ministro e cade annunciando denunce, esposti. Cade dicendo, in una lettera, che le sue riforme gli hanno “attirato inimicizie”; ancora un nuovo complotto, un complotto che non c’è mai stato. Sangiuliano cade perché un vero potente non dice mai, a voce alta, di esserlo. Cade perché un vero potente non si vanta, ma si nasconde. Sangiuliano cade alle 17,12 di venerdì 6 settembre 2024.


Sangiuliano, che è stato un giornalista Rai e che in Rai tornerà, probabilmente come direttore del Tgr, disse una volta, a Giuseppe Conte: “Attento, “i giornalisti sono pericolosi”. Sangiuliano aveva dimenticato che più pericoloso del giornalista è il sorriso del giornalista. Il caso Boccia-Sangiuliano è iniziato sorridendo, alla Swift, “Genny Delon”; “Genny nove e secondi e mezzo”, e infatti valeva 1.200 battute, ma al secondo giorno 2.400, poi 3.200, al terzo erano già seimila battute. Al quarto c’era il pezzo d’appoggio e mai più di uno perché non è vero che il giornalismo è sangue, fango. Quanti messaggi hanno ricevuti i giornalisti, fino a tarda notte, per non scrivere su Sangiuliano, “ti stai suicidando”, “ti sei perduto”. Come si chiama questo? Sangiuliano nella lettera in cui rassegna le dimissioni irrevocabili (come se qualcuno le volesse revocate) la lettera che ha spedito a Meloni, scrive che c’è stato “l’odio di un certo sistema politico e mediatico”, che “sono consapevole di aver toccato un nervo sensibile e di essermi attirato molte inimicizie avendo scelto di rivedere il sistema dei contributi al cinema ricercando più efficienza e meno sprechi”; e ancora, “che questo lavoro non sarà macchiato da questioni di gossip”.

 

Ma è gossip sapere che la serata inaugurale di G7 viene spostata a Pompei, la città di una non consigliera che fa avere chiavi d’oro, dice lei? E’  pettegolezzo scoprire che le chiavi sono costate 15 mila euro, come ha scoperto il Foglio, chiedere al governo se le conversazioni private tra premier e ministro siano state cedute a terzi? E’ pettegolezzo la mail pubblicata da Dagospia, la mail sui percorsi del G7 spedita a Boccia su richiesta del ministro? E’ pettegolezzo avere il coraggio di “pubblicare” oltre a “visionare” le mail?

 

Perfino i direttori di centrodestra rivendicano un pezzo di dimissioni di Sangiuliano, una decisione necessaria. A far male a Sangiuliano sono stati proprio gli amici che lo lodavano anziché dire “Genny, stai attento”, “non fidarti”. Quando il ministro ha capito che la sua carriera, il ministero stavano precipitando, che Boccia, la non consigliera, che voleva nominare  (anche perché come ha detto Sangiuliano al Tg1 “non c’è giurisprudenza”) ecco, quando ha capito che non si sarebbe fermata, Sangiuliano ha pensato che bastava allontanare qualche funzionario. A metà agosto escono di scena due uomini di scorta, perché le altre due figure decisive, il capo di gabinetto, il capo di segreteria non si possono allontanare in un giorno, anche se si è potenti. Boccia ha raccontato  che ha cominciato a registrare la volta che Sangiuliano ha detto: “Io sono il ministro,  io rappresento l’istituzione e in futuro nessuno crederà a  quello che tu dirai”.

 

Per nove giorni, Meloni e Sangiuliano hanno creduto che si potesse resistere, perché nelle riunioni con Meloni, il pensiero era: “Se gli diamo la sua testa, chissà quante altre teste di ministri gli daremo dopo”. Per nove giorni i giornalisti hanno atteso che Sangiuliano fermasse Boccia, ma Sangiuliano, non riusciva, le telefonava. Non poteva perché troppi avevano visto Boccia, e troppi l’avevano ospitata, sempre a titolo di consigliera anche quando non lo era. Quante volte abbiamo sorriso di Sangiuliano, e sempre scritto, almeno qui al Foglio, con l’ironia, anche quando l’Italia lo fischiava: “Per un pugno di dollari e di Sangiuliano”, il “fischio più famoso dell’Italia western”. Anche Sangiuliano allora si era divertito.

 

Divertiva anche quando parlava del suo avvocato, l’insuperabile avvocato Silverio Sica, fratello di Salvatore Sica che Sangiuliano ha nominato consigliere giuridico del ministero. Quale sarebbe stato il complotto? Quante persone, in questa storia, sono state costrette a tacere, a cominciare dal direttore di Pompei,  Zuchtriegel, il direttore che ha spedito la mail a Boccia? Adesso dicono tutti: “E’ vero, siamo dei funzionari e voi giornalisti vi siete battuti. Eravate avanti. Abbiamo imparato che un funzionario può dire ‘ministro non si può fare’. Abbiamo imparato. Tardi”. Meloni ha ringraziato Sangiuliano, “una persona capace e onesta”, e ha nominato Alessandro Giuli, ministro della Cultura. Tutto quello che dirà Boccia, quel mercato di rivelazioni, che è stato il governo a scatenare, crolla finalmente, perché si può lasciare un ministero e avere il saluto d’onore dei giornalisti. Sangiuliano, non cade. Sangiuliano perde solo il titolo di ministro, un titolo di vanità che lo ha allontanato dai suoi affetti e fatto avvicinare da persone dubbie. Sangiuliano, non cade. Era solo un titolo. A che titolo?

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio