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Rapporti alla mano /18

Sud contro Nord: i numeri a disposizione sono contraddittori

Sabino Cassese

Il progetto dell’autonomia differenziata ha riaperto un dibattito ricorrente nella storia italiana. Ma i dati sulla ripartizione della spesa pubblica nelle regioni sono contraddittori. Servono informazioni più sicure

La proposta di dare attuazione all’articolo 116 della Costituzione e conferire ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, su loro richiesta, a una o più delle regioni a statuto ordinario (o anche a tutte) – in una parola, l’autonomia differenziata – ha riaperto un dibattito che si è svolto più volte nel corso della storia italiana. E’ un dibattito che ha per oggetto la domanda se lo Stato abbia abdicato alla sua funzione redistributiva, ispirata alla giustizia sociale, o se abbia intenzione di abdicare a tale funzione

 

Francesco Saverio Nitti: Nord e Sud


Il problema è stato posto e riproposto più volte da coloro che hanno affrontato la questione meridionale, ma su tutti i contributi prevale quello di Francesco Saverio Nitti, nel volume intitolato “Nord e Sud”, pubblicato dall’editore Roux a Torino nel 1900 e ripubblicato più volte, tra l’altro da CalicEditori, Rionero in Vulture, nel 2000. 
Nitti affrontava il tema delle entrate e delle spese dello Stato in Italia e della loro ripartizione territoriale. Considerava come si è formato il bilancio italiano e la situazione dei vecchi Stati prima dell’unità. Esaminava le spese dello Stato e quanto ciascuna regione dà e quanto in ciascuna lo Stato spende. Valutava la spesa per la difesa, per la giustizia, per i lavori pubblici, nonché gli spostamenti di ricchezza dal Sud al Nord e, principalmente, la meridionalizzazione dello Stato, considerando “se gli impieghi dello Stato siano invasi dai meridionali o dai settentrionali”, e notava la crescente prosperità dell’Italia settentrionale e la lentezza nello sviluppo dell’Italia meridionale. Concludeva osservando che Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia, Liguria, Toscana avevano assorbito gran parte dei benefici della nuova Italia, che anche il Sud si era valso dell’unità, ma non dal punto di vista economico perché, “ha ricevuto assai poco, soprattutto ha ricevuto assai male”.

 

La spesa pubblica e la sua ripartizione territoriale


Se si vuole valutare oggi la situazione, bisogna tener conto di due tipi di fonti, quella della Ragioneria generale dello Stato e quella dell’Agenzia per la coesione territoriale. Il primo tipo di dati si trova nell’indagine su “La spesa statale regionalizzata - Stima provvisoria 2022”, del gennaio 2024. Il secondo nell’“Analisi dei flussi finanziari delle spese per settore economico, regione e tipologia di soggetti” del “Sistema dei conti pubblici territoriali”. Per valutare questi dati bisogna innanzitutto escludere le regioni a statuto speciale nonché il Lazio, le prime perché hanno un ordinamento particolare, il Lazio perché i dati sono fortemente influenzati dalla presenza di Roma capitale nazionale. 


I dati della Ragioneria generale dello Stato sembrano invertire la rappresentazione che si fa normalmente di un Sud dimenticato dallo Stato. Infatti, le regioni che registrano la spesa pubblica per abitante più alta sono Molise, Abruzzo, Basilicata, Calabria e Liguria. Quelle che stanno in una posizione intermedia sono Puglia, Campania, Umbria, Marche, Piemonte e Toscana. Quelle nelle quali la spesa pubblica per abitante è più bassa sono l’Emilia Romagna, il Veneto e la Lombardia.


   

I dati dell’Agenzia per la coesione territoriale presentano un quadro diverso, non di un’Italia divisa in due parti, ma di un’Italia, come si suole dire, a macchia di leopardo. Infatti, le regioni che sono nella fascia alta sono Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, ma anche Basilicata; quelle della fascia intermedia Veneto, Toscana, Umbria, Marche, ma anche Abruzzo e Molise; infine quelle con la spesa pubblica più bassa per abitante sono la Campania, la Puglia e la Calabria.

 

Possiamo fidarci di questi dati contraddittori?


I dati forniti dalle due fonti sono rappresentativi, ma poco sicuri e quindi vanno considerati come ordine di grandezza. Si riferiscono ad anni diversi (2022 e 2021), sono purtroppo raccolti e pubblicati in ritardo, ma principalmente riguardano aggregati diversi. I dati della Ragioneria si riferiscono alla spesa statale, quelli dell’Agenzia per la coesione territoriale si riferiscono ai conti pubblici territoriali e includono non solo la pubblica amministrazione, ma anche quella che viene definita extra-pubblica amministrazione, e quindi le imprese pubbliche nazionali, regionali e locali.


Se i dati dell’Agenzia sono più completi, essi tuttavia non sempre sono rappresentativi del ruolo allocativo e quindi distributivo per zone geografiche dello Stato. Mettono insieme istituzioni diverse, cioè enti di erogazione e imprese pubbliche, che adottano criteri diversi di gestione. Non considerano la diversità dei centri decisione e quindi se le decisioni allocative dipendano tutte dallo Stato e dal governo centrale o dipendano anche da decisori locali. Sottovalutano la difficoltà dell’assegnazione territoriale della spesa, che fu sperimentata quando, nel secolo scorso, si decisero per legge le quote di investimento pubblico nel Mezzogiorno, sia degli investimenti totali, sia dei nuovi investimenti e si dovette decidere, ad esempio, come allocare gli investimenti per l’acquisto di aeromobili da parte dell’Alitalia sul territorio nazionale.


Basta la spesa?


La spesa pubblica e la sua distribuzione sul territorio è un indicatore importante della capacità redistributiva dello Stato in senso geografico. Ma non basta, perché somme allocate in maniera uguale in zone diverse possono essere gestite in modo diverso e quindi produrre risultati complessivi, in termini di “performance”, diversi, come dimostrato in parte della spesa sanitaria: questa in alcune regioni è più alta, e ciò nonostante gli abitanti di quelle regioni vanno a curarsi in presidi ospedalieri di regioni che hanno una spesa sanitaria pro capite più bassa.

Che può fare il Sistan


Non c’è dubbio che sia necessario avere dati statistici più solleciti e più affidabili, nonché meglio coordinati. Questo è proprio il compito che dovrebbe svolgere il Sistema statistico nazionale – Sistan, di cui tutti i produttori di statistiche fanno parte. E’ un compito non facile, a partire dalla definizione degli aggregati. Si tratta di definire che cos’è lo Stato e di stabilire quali sono gli aggregati omogenei che possono sommarsi: per esempio, se possano sommarsi le spese degli enti di erogazione alle spese degli enti imprenditoriali. Oppure se occorra adottare un criterio formale, del tipo pubblico-privato, o un criterio sostanziale, in relazione all’attività svolta. Bisogna decidere se vada accolta la formula europea dell’“organismo di diritto pubblico”, che comprende anche soggetti privati, purché abbiano i tre requisiti determinati dall’Unione europea. Dopo aver definito in termini generali tutto questo, interviene la capacità di coordinamento e la formazione del personale chiamato a raccogliere i dati.
Non c’è dubbio che informazioni statistiche più sicure contribuirebbero non solo a una migliore conoscenza della situazione di fatto, ma anche a una più accurata formazione dell’opinione pubblica su un problema che sembra dividere l’Italia.