Gran Milano
C'era una volta l'autonomia vista (bene) dalla sinistra del Nord
Federalismo, autonomia, regionalismo. Storia di un dibattito ancora vivo nel Pd. E di uno scontro politico di oggi
Era il 25 febbraio 2019, e alle ore 21 la Feltrinelli di viale Pasubio era affollata. Il convegno prometteva bene e produsse molti spunti: sul palco Pietro Bussolati, ai tempi segretario metropolitano del Pd, quello che aveva condotto alla vittoria Beppe Sala nel 2015 contro l’agguerrito Stefano Parisi. E poi Giorgio Gori, ai tempi sindaco di Bergamo. E poi Luigi Marattin, che l’altro giorno ha mollato Italia viva ma ai tempi era un parlamentare del Pd. Infine, soprattutto, Stefano Bonaccini: presidente della Regione Emilia-Romagna e reduce da una battaglia per l’autonomia regionale insieme ad Attilio Fontana e Luca Zaia. Infatti il tema era proprio questo: “Autonomia differenziata, la forza delle città”.
La via del nord del Partito democratico aveva confini chiari: discussione con il mondo economico, meno centralismo, autonomia anche e soprattutto di pensiero rispetto a Roma, vissuta come lontana e poco influente sulle dinamiche locali. Il sindaco Beppe Sala pochi giorni prima, su Facebook, aveva scandito un mantra arrivato fino a oggi: “Io non sono contrario alle istanze autonomistiche, al fatto che i territori chiedano di avere più poteri e si tolga una parte di ruolo al governo centrale” diceva Sala, per poi concludere: “Capisco le preoccupazioni di tanti sindaci che non vogliono rimanere schiacciati, serve un modello di autonomia che non trasformi le regioni in grandi Comuni che gestiscono tutto, relegando i Comuni in un ruolo marginale”. Insomma, la battaglia per l’autonomia, che aveva messo tutti d’accordo nel 2018 (sì, anche il centrosinistra e anche Sala), un anno dopo aveva cominciato a vedere le divisioni nel campo del Nord: il centrosinistra a spingere per un’autonomia non regionalista, il centrodestra a spingere per le competenze alle Regioni.
Storie vecchie, ma che è bene ricordare per capire quanto sta succedendo cinque anni dopo. Bonaccini non è più presidente dell’Emilia-Romagna. Ha perso contro Elly Schlein la battaglia per la guida del Pd e adesso siede in Europa, ma su mandato di Elly. Anche Gori è in Europa. All’epoca di Bussolati è seguita quella di Silvia Roggiani (che ora sventola le firme del referendum come “un monito per Fontana”), alla guida del Pd milanese e adesso c’è Alessandro Capelli. In Lombardia, a conti fatti, comanda Pierfrancesco Majorino, assai proiettato a quello che avverrà nel 2027, quando Sala avrà finito il suo secondo mandato. In tutto questo, l’autonomia torna di attualità. E le posizioni sembrano cristallizzate, uguali a quelle di un tempo ma con una verve in più in vista del referendum che – se boccerà Calderoli – si può scommettere che ucciderà una volta per tutte qualunque ipotesi di riforma in senso autonomista. Un fatto che tutti paiono ignorare.
Come la pensano oggi Bussolati e Majorino? Bussolati al Foglio: “La Lega confonde il federalismo con il regionalismo e quindi infarcisce le Regioni di funzioni, anche in alcuni casi anche frammentando il paese, senza invece fare un quadro organico di federalismo fiscale che tenga conto delle autonomie locali. E quindi città metropolitane, province e comuni. E’ una riforma da un punto di vista monca e dall’altra dannosa”. E dunque no all’autonomia? “Sì all’autonomia, e sì all’autonomia differenziata. Ma per come è fatta questa riforma è dannosissima, io andrò a votare contro la Calderoli. Dopodiché bisogna stare attenti a non buttare via il bambino con l’acqua sporca: c’è bisogno di più autonomia, ma non l’autonomia alla Calderoli”. Majorino al Foglio: “Io non sono chiuso rispetto al concetto di autonomia – spiega il capogruppo del Pd in consiglio regionale – Anzi, questo concetto va rilanciato e va rilanciata la riflessione sul sostegno e l’innovazione degli enti locali. Ma il grande tema di questa riforma pasticciata è che divide l’Italia e danneggia anche il Nord, città come Milano, come ha ben spiegato Sala. E’ dannosa ed è pure inutile, poiché di certo i Livelli essenziali di prestazione (Lep), che sono necessari per questa riforma, non sono stati definiti e non lo saranno in tempi brevi”.
Ovviamente il fronte opposto insorge. Giacomo Cosentino, capogruppo di Lombardia Ideale (l’ex Lista Fontana che ha ottenuto un ottimo risultato elettorale), è pacato: “Il Pd distoglie l’attenzione da un punto fondamentale. La Costituzione prevede l’autonomia, e chi scrisse in Costituzione che era prevista è stato proprio un governo di centrosinistra. Sfatiamo anche un altro mito: non si nega niente alle altre regioni, né al resto d’Italia. Gli unici che devono preoccuparsi sono quelli che sprecano e buttano via i soldi pubblici. I Lep? Fontana sta già chiedendo funzioni e materie che non abbisognano dei Lep, quindi Majorino dice una cosa sbagliata”. Meno pacato Alessandro Corbetta, capogruppo del Carroccio in consiglio regionale, che al Foglio spiega: “Siamo di fronte alla schizofrenia degli ultimi 30 anni sul lato sinistro. Nel 2001 promuovono loro una riforma costituzionale che prevede l’autonomia. Nel 2017 viene fatto un referendum che riceve l’appoggio anche del sindaco Sala e che in Lombardia venne appoggiato addirittura dal M5s. Gentiloni, il Conte I proseguono a ragionare di autonomia. Poi il Conte II e infine Draghi. Tutti portano avanti l’autonomia che poi Calderoli fa approvare. Esattamente, di che cosa cianciano? Majorino si arrampica sui vetri, cercando di incendiare il Sud contro il Nord. Una cosa pericolosa”.