Giorgia Meloni - foto Ansa

Realtà e fantasia

Ecco la vera storia dei poliziotti "allontanati" da Meloni a Palazzo Chigi

Salvatore Merlo

Più che una spy story, più che un grande complotto che coinvolge spie e agenti segreti, l'allontanamento dell'ascensorista dal Palazzo del governo è un calcio disperato al modello Fantozzi

“No, guardi presidente, gli agenti non sono abbastanza”. Come non sono abbastanza? “Ehh, sono impegnatissimi”. Da circa due anni, a quasi ogni riunione con gli apparati di sicurezza dello stato, alla presenza di Matteo Piantedosi ministro dell’Interno, pare che Giorgia Meloni si sia ormai abituata a sentirselo dire. La Polizia non si può usare per questo, i carabinieri non si possono usare per quello, la Guardia di Finanza nemmeno a parlarne. Anche per quanto riguarda alcuni aspetti del Giubileo. L’evento che, secondo le previsioni, dal 24 dicembre 2024 porterà a Roma l’enormità di trentacinque milioni di persone. Difficoltà logistiche, ovviamente. Problemi di  sicurezza, com’è evidente. Dunque riunioni su riunioni. E spesso, appunto, di fronte alle richieste di Meloni che sulla sicurezza vuole dare segnali tangibili, ecco la frase pronunciata da un funzionario di alto livello: “Non ci sono gli agenti. Sono impegnati in attività fondamentali”.
 

Allora bisogna proprio immaginarsela Giorgia Meloni che entra a Palazzo Chigi con ancora nelle orecchie queste parole, bisogna figurarsela mentre attraversa il cortile, imbocca il corridoio, si avvicina all’ascensore del Palazzo, solleva lo sguardo e sgrana gli occhi come un’attrice del muto. Davanti a lei si manifesta un’immagine familiare, ma che pure mai prima di quel giorno aveva davvero messo a fuoco: c’è un agente di Polizia addetto a premere il pulsante dell’ascensore. Per lei. Solo per lei. A qualsiasi ora del giorno e della notte. Attività fondamentali? Dal momento  in cui la presidente del Consiglio osserva quel poliziotto ascensorista alla sua reazione passano pochi istanti. Accade tutto a una velocità inaudita, come una pellicola impazzita. Bisogna infatti conoscere il carattere di Meloni: la spontaneità propria dell’ariete.
 

Salita nel suo studio, la premier dà disposizione di sollevare gli agenti di polizia dal compito di pigiare pulsanti. Solo che, ovviamente, Palazzo Chigi, come tutti gli uffici pubblici è all’incirca una setta burocratica, meticolosa, schematica, grigia come un’alba antartica. Tutto è regolato. Ma soprattutto è un posto in cui il presidente del Consiglio – formalmente  – non dispone. Non è lei che decide. Ci sono i mandarini lì. C’è il segretario generale. Ci sono i funzionari. Come alla Camera. Come al Senato. C’è insomma una trafila, che la presidente ha travolto col piglio di chi aveva ancora nelle orecchie quella frase sulle attività  “fondamentali”. Sicché gli agenti di Palazzo Chigi, che non sono stati mandati via, continueranno a occuparsi della sicurezza  al piano presidenziale, ma senza più incarichi da ascensoristi.
 

Ovviamente la decisione si presta all’equivoco – “ha allontanato gli agenti perché pensa di essere spiata” – specialmente perché tutti conoscono quella singolare tendenza a vedere complotti, trame e tradimenti che avvolge come un sudario alcuni collaboratori della premier. La quale, per esempio, oltre all’agente ascensorista ha voluto che fosse eliminata anche una specie di campana fantozziana che a Palazzo Chigi suonava a ogni ingresso e uscita del presidente del Consiglio dal portone. “Una roba da marchese del Grillo”. Ora pare che, tuttavia, Meloni abbia recentemente scoperto (ridendone) che quella campana silenziata suoni comunque, sotto forma di cicalino quando lei arriva con l’ascensore a qualsiasi piano. Ma la sua non è paranoia, par di capire. È infastidita dal formalismo burocratico, e dall’ipocrisia dei “compiti fondamentali”. In effetti...

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.