Gennaro Sangiuliano - foto Ansa

La lettera

Perché il moralismo contro Sangiuliano è stato una vergogna. Ci scrive Pupi Avati

Pupi Avati

Caro ex ministro, eri inadeguato, ma il moralismo d'accatto su di te non è accettabile. Mi mi vergogno per la totale disumanità dimostrata che ti è stata dimostrata e ti abbraccio. La lettera del regista

Al direttore – Caro Gennaro, mi vergogno per la totale disumanità dimostrata da questo diffuso moralismo d’accatto. Conosciamo tutti ormai con dovizia di dettagli le tue imperdonabili colpe, quelle per le quali ti trovi solo contro tutti, nessuno escluso, dai più accreditati a coloro che vivono nel mondo dell’informazione di una meritata marginalità. Li hai tutti contro nel tenere in vita la scandalo, per far si che l’orrore a cui stiamo assistendo non si esaurisca facendo crollare gli ascolti. Con l’alibi puerile che se non si affrontano i problemi reali del paese è per la gravità del caso, per le sue trame più occulte. Leggo addirittura di chi ti sbeffeggia per aver cercato riparo in un monastero con l’ingenuo proposito di salvare il tuo matrimonio…
 

Sarà per il mestiere che faccio che mi ha insegnato l’immedesimazione nei personaggi che racconto, sarà per l’educazione che mi è stata trasmessa che fa sì che avverta nel più debole sempre il mio simile, sarà perché conosco il mondo indecente dei vari potentati (sappi che chiunque arriva al potere cambia, e sempre in peggio), sarà per questi miei 85 anni di vita che mi permettono di vedere con lucidità e libertà i miei simili. Sara per l’insieme di queste ragioni che ho avvertito il dovere di scriverti.
 

Nelle stesse ore in cui venivano alla luce i dettagli del tuo delitto un diciassettenne uccideva il suo fratellino e i suoi genitori a coltellate. Non era il primo caso e non sarà l’ultimo in un precipitare autodistruttivo del nostro occidente, in una sua compiaciuta desacralizzazione dell’essere umano. Ma i media hanno dedicato a questo evento (che lo stesso omicida non ha saputo motivare) un paio di giorni di attenzione, rassegnati al prossimo massacro di donne e bambini, a quelle che sono le “ricadute” della modernità.
 

Debbo confessarti, per dare il massimo della credibilità a questa mia lettera, che fin dal primo incontro che avemmo avvertii una tua inadeguatezza a doverti occupare di cinema, settore infido, relativamente artistico ma in inquietante dipendenza dai flussi finanziari. Quindi opacizzato da questa strettissima e malsana connessione. Sappi che nel cinema si parla soprattutto e continuamente di soldi.
 

Questa tua lacuna, alla quale si aggiunsero alcuni svarioni, dimostra una tua eccessiva autorefenzialità, una sorta di tuo infantilismo. Hai creduto veramente di essere all’altezza per ricoprire quel ruolo che ti dava modo improvvisamente di assurgere a una notorietà e a una deferenza diffusi. Nessuno che ti volesse bene ha ritenuto doveroso rammentarti che stavi vivendo una grande opportunità ma in un percorso a tempo che rasentava il burrone. Nella tua anticamera ci sono pareti ricoperte dai ritratti fotografici di chi ti ha preceduto. Molti di loro scomparsi, quelli che restano dimenticati o degradati alle seconde file. L’esserti innamorato di quella signora non mi sorprende e non mi scandalizza. Si sa bene come alla tua età, nell’illusoria onnipotenza sulla quale erroneamente confidavi, le avresti promesso il mondo. Una carriera sfolgorante, in cambio del suo amore. Probabilmente in cambio di null’altro.
 

E lei ha visto in te quella password che cercava da sempre per accedere al bancomat del potere. La mancanza di Pietas nei tuoi confronti da parte dei tanti che pretendono tutto il tuo sangue, mi sgomenta. So bene (come giustamente ha asserito Massimo Cacciari) che i segreti che la signora pompeiana minaccia di rivelare saranno estremamente deludenti. Conosco talmente bene il ministero della Cultura da poter asserire che in quei sontuosi corridoi e in quelle vetuste sale, in quelle enormi biblioteche, transita molto spesso il nulla. Ti voglio bene Gennaro e non sentirti solo!