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da palermo all'albania

Il caso Salvini e i rischi per Schlein sull'immigrazione

Luciano Capone

Il processo di Palermo rischia di schiacciare il Pd in una contrapposizione tra destra dei “porti chiusi” e sinistra delle “porte aperte”, proprio in una fase in cui tutta la sinistra europea assume una linea più dura per fermare gli immigrati, Da Scholz a Starmer, passando per Sánchez e Frederiksen

Il primo commento di Elly Schlein sul processo al vicepremier Matteo Salvini è stato contro Giorgia Meloni, più sul metodo che sul merito della vicenda: “Ho trovato molto inopportuno l’intervento della presidente del Consiglio perché noi pensiamo che il potere esecutivo e quello giudiziario siano separati e autonomi, è un principio che si chiama separazioni dei poteri”, ha detto Schlein riferendosi alle parole di Meloni, che aveva definito un “precedente gravissimo” la richiesta a sei anni di condanna per sequestro di persona, da parte della procura di Palermo, nei confronti dell’allora ministro dell’Interno del governo Conte che bloccò lo sbarco dei migranti soccorsi dalla nave della ong Open Arms.

È come se la segretaria del Pd sia consapevole del rischio di cadere in una sorta di trappola politica: apparire come il partito dell’accoglienza senza limiti, in contrapposizione a Salvini che si propone come il “difensore dei confini nazionali”.  È come se Schlein volesse tenersi un passo di lato rispetto a questo schematismo su un tema molto sensibile come l’immigrazione, dove le percezioni sono molto più rilevanti rispetto alle soluzioni concrete che in genere si rivelano poco efficaci.

Tutte le principali forze di sinistra al governo in Europa sono costrette, per convinzione o sotto la pressione dell’opinione pubblica, ad assumere toni e politiche più dure contro l’immigrazione irregolare. In Germania, dopo il trionfo dell’estrema destra e dell’estrema sinistra anti immigrati, il governo socialdemocratico di Olaf Scholz ha appena messo  i controlli alle frontiere per almeno sei mesi, di fatto sospendendo Schengen, per “combattere l’immigrazione illegale” e “fermare i criminali e  gli estremisti islamici in anticipo” (così la ministra dell’Interno Nancy Faeser). In Gran Bretagna, dove sul tema ci sono state rivolte di piazza degli estremisti di destra, il neopremier laburista Keir Starmer ha messo da parte il “Piano Ruanda” dei conservatori, ma è venuto in Italia a parlare con Meloni del  “Piano Albania”, come esempio di pragmatismo: “ È fondamentale impedire alle persone di intraprendere questi viaggi: abbiamo assistito a troppi decessi sia nel Mediterraneo che nella Manica”, ha detto Starmer.

In Spagna, il premier socialista Pedro Sánchez ha concluso un tour in Mauritania, Senegal e Gambia per stringere accordi con i paesi africani al fine di impedire le partenze verso le Canarie (un po’ seguendo il metodo Minniti, fatto proprio ora da Meloni con il Piano Mattei). In Danimarca, uno dei pochi paesi nordici dove la sinistra è salda al governo, la premier Mette Frederiksen persegue da sempre una linea dura sull’immigrazione.


Il pericolo, di cui pare consapevole Schlein, è quello di farsi trascinare dal progressismo culturale e mediatico sull’onda del processo di Palermo in una contrapposizione tra destra dei “porti chiusi” stile Salvini e sinistra delle “porte aperte” stile Salis. Perché se è questo il messaggio che dovesse percepire l’opinione pubblica italiana, molto preoccupata  come il resto d’Europa dall’immigrazione irregolare, la sinistra potrà anche rivendicare una vittoria giudiziaria, ma al prezzo poi di una sconfitta politica. E alla fine a  raccogliere i frutti dell’una e dell’altra disfatta, quella giudiziaria di Salvini e quella politica della sinistra, sarebbe Giorgia Meloni.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali