Lega Allende

La resistenza di Salvini: striscioni ai caselli, Musk a Pontida. Per Meloni resta al governo anche con condanna

Carmelo Caruso

Al Federale, la Lega discute come difendere il segretario: manifestazioni di piazza, striscioni, la proposta di bloccare strade (ma non si può perché la Lega ha inasprito le pene). In Lombardia si muove Silvia Sardone

Sono due enormità: è un’enormità chiedere sei anni di galera per Salvini ed è un’altra enormità elevarlo a Salvini  Allende. Si autoinserisce nel pantheon dei grandi perseguitati politici alla Sands, Nagy, Mandela. Al Federale di partito, convocato d’urgenza, il momento più drammatico si è registrato quando un leghista, con affetto, ha proposto: “Manifestiamo in autostrada. Difendiamo Matteo”. Non si può, dato che la Lega, con il ddl sicurezza, ha inasprito le pene per chi manifesta. Sarebbe ulteriore carcere. Autocomplotto. La Lega sarà Inti-Illimani. Si preparano manifestazioni,  striscioni ai caselli. Salvini ha aggiunto due capitoli al suo libro, li distribuisce, online, con il titolo “Processo a un italiano”, perché queste sono adesso le sue prigioni. Vuole fare il giro del mondo e avere Musk a Pontida, una Pontida internazionale perché, dice, “racconterò la mia storia all’estero”. FdI: “I magistrati che chiedono sei anni di carcere per il sequestro della nave Open Arms, lo faranno risalire nei sondaggi. La Lega manifesterà di fronte al tribunale e pure noi dovremmo andare”. Il 18 ottobre, a Palermo, per l’arringa di Giulia Bongiorno, che difende Salvini, si attendono i charter. Se Salvini viene condannato, Giorgia Meloni gli chiederà di restare al governo, più, e meglio, di prima. E lo dicono da Palazzo Chigi. La vera incertezza riguarda il partito. Un segretario di provincia, Bergamo, stava per essere bruciato alla griglia. Osa parlare ancora del congresso lombardo. Kamikaze. Salvini per la prima volta sente odore di bugliolo, del secchio di latta, per la prima volta, e davvero, comprende che, in quegli anni sciagurati, chi gli diceva “bravo”, lo diceva perché non rischiava nulla. L’unico che rischia è lui, lui, lui solo. Gli hanno detto, e abbiamo scritto, di tutto, ma il Parlamento gli batteva le mani, il trenta per cento degli italiani era con lui. A processo deve andarci allora mezzo paese che lo chiamava “Capitano, mio Capitano”.


Anche i rivali di Salvini dicono “non lo merita”, anche chi, in silenzio, lo ha contestato dice ora “non lo merita”. Dicono tutti “non lo merita”, “è troppo”, ma nessuno gli diceva allora di fermarsi, “lo diciamo per te”. I leghisti erano sotto sbornia da governo gialloverde, solo Giulia Bongiorno si permetteva di spiegare: “Matteo, i processi fanno male, sono come le malattie, le malattie difficili”. Ora è Bongiorno a dire, al Federale, “ce la faremo, vedrai”, a ripercorrere  la storia. Nella Lega si è sottovalutato questo processo, sembrava non fosse nulla di che, perfino gli stessi parlamentari leghisti conoscevano male l’intero fascicolo. Quando si è votato in Parlamento, per mandare a processo Salvini, nessun leghista ha inseguito   Giuseppe Conte, e chiesto: “Ma come fai? Mandi a processo Salvini perché non era più al governo con te, ma hai salvato l’altro, quello che stava al governo con te”. L’ordine di Salvini è infatti “attaccare Conte, il M5s ipocrita, attaccare anche Renzi che dice di essere garantista”. Intende farne una questione politica, sui margini della politica: “Guardate che il mio processo ricadrà su di voi”.

 

Durigon, che ora è vicesegretario, ci soffre, si caricherebbe lui un po’ di pena. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che era allora capo di gabinetto, era appunto capo di gabinetto. Il processo è di Salvini, si tiene a Palermo, e in Sicilia c’è un modo di dire: “U cani che è  miu?”. E’ la scorciatoia per dire: “problemi tuoi, non miei”. Salvini ripete: “Ho difeso i miei confini”, e non sbaglia, ma sono passati governi e lui non è più invincibile, inoltre, con i decreti flussi, in Italia, oggi, si arriva che è una meraviglia, e bene. Salvini sta lottando, ma la sua barba non era mai stata così bianca. Nella Lega scommettono che non lascerà, mai, mai lascerà la segreteria, almeno fino alle prossime politiche anche se ora è un Salvini turbato. A cosa gli serve la segreteria ora che è più di un segretario, un perseguitato politico, Salvini Allende?

 

Luca Toccalini, il segretario della Lega giovani, che un giorno vorrebbe farsi segretario in Lombardia, è disposto a uscire di notte e affiggere manifesti sui cavalcavia. Se serve lo scrive pure con la bomboletta spray. Al Federale c’è chi si interroga: raccolta firme sì o no? Infine la proposta dei caselli, andiamo in autostrada, la proposta che sembra il contrappasso. Non è forse stata la Lega ad aumentare le pene, carcere, per chi bloccava strade? E si può forse pensare al congresso in Lombardia? Ci sono segretari leghisti che inseriscono negli odg dei loro direttivi il tema congresso in Lombardia e Salvini, quando lo ha saputo, stava per sbattere la sedia, ma dato che alla fine è meglio dei fratelli d’Italia, i collerici, si è limitato a ricordare che le priorità sono “Pontida e il mio processo”.

 

Spedisce lettere ai repubblicani americani, venite, a Orbán, anche lui invitato. Sta lavorando per far arrivare Musk nelle campagne lombarde, l’amico Elon che lo difende come fosse Stefano Candiani, l’amabile Candiani. La priorità è il processo ma il processo durerà anni e servirà la Cassazione. In Lombardia, i leghisti, cosa faranno, aspetteranno i tempi della giustizia? Nella nuova segreteria non ci sono donne e a Milano c’è Silvia Sardone che non solo ha suoi voti personali, ma anche quelli di uno che la Lega la padroneggia come i due vecchi bastoni, Calderoli e Giorgetti. E’ Davide Caparini (cinque legislature e poi in Lombardia, in regione) un altro pezzo di storia Lega e compagno di Sardone, una leghista che vuole il suo spazio perché non è che solo Vannacci può fare il suo movimento parallelo. “Non lo merita”, e ancora, “è troppo”, un’enormità, ma Salvini è stata l’enormità, ed è ancora l’enormità; enormità nelle uscite, nelle proposte. E’ un’enormità quella che i magistrati gli vogliono infliggere come castigo, ma è la prova della sua enormità da segretario, dieci anni italiani, di Lega, di governo, e opposizione, segnati da lui. E’ l’enormità di Salvini la pena di Salvini.   

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio