ESCLUSIVA
Nuova lettera di Grillo a Conte: "Che fai mi minacci? Sei un autocrate"
Il garante torna a scrivere all'ex premier tra rabbia e sberleffi: "Non scendo al tuo livello, ma il secondo mandato non si tocca finché ci sarò io". Romanzo epistolare del M5s
Ormai il M5s è un romanzo epistolare. Beppe Grillo scrive, Giuseppe Conte gli risponde. E viceversa. Garante e leader non si parlano più di persona, ma si affidano alle lettere che hanno tempi lunghi di ragionamento e decantazione. Spesso via Pec. Sono “I dolori del giovane M5s”. Così se l’ex premier, rispondendo a una diffida legale, ha messo nero su bianco che potrebbe sospendergli i contratti da 300 mila euro all’anno e la manleva, ecco il fondatore scrivano. Che finora, a settembre, ha già inviato tre missive di fuoco.
La prima è una diffida legale a prendere iniziative che violino il suo ruolo di garante (il vincolo del secondo mandato).
La seconda, svelata dal Foglio, riguarda le sei domande sulle regole dell’assemblea costituente, la terza invece gliel’ha mandata sabato scorso. Ed è durissima. Segno che ormai volano parole sempre più grosse fra i due, destinati a prendere strade diverse.
Gli uomini di Conte che hanno letto l’ultima lettera raccontano a questo giornale che mai Grillo si era spinto così in avanti con le accuse. Bolla come ipocrita il processo decisionale democratico che si celebrerà a ottobre con l’assemblea costituente voluta dall’ex premier. Il quale è accusato dal suo rivale di demolire presidi democratici del M5s a favore degli interessi di pochi. Grillo è ispirato e spietato. E si diverte a spaziare dalla Divina Commedia, all’oclocrazia di Polibio, passando per la dittatura della maggioranza di Tocqueville.
Sulla regola del secondo mandato Grillo non sembra intenzionato a mollare. Ne fa la questione dello scontro. E lo fa, dice, anche in memoria di Gianroberto Casaleggio che con lui mise questa regola per distinguere il M5s dagli altri partiti che tendono a sclerotizzarsi e alienarsi dai cittadini. E’ un rapporto che non c’è più, e non da oggi, quello tra il fondatore e l’ex premier. Basti pensare, per esempio, che la scelta di inserire l’hashtag “#pace” nel simbolo del M5s alle ultime europee è stata un’iniziativa di Conte non concordata, scoperta dall’altro solo quando l’ex premier ha depositato il simbolo al Viminale. Non si parlano, si delegittimano a vicenda, l’avvocato del popolo e l’elevato genovese. Che accusa il leader di essere un autocrate e gli ricorda, ancora una volta, che la titolarità del nome e del simbolo è la sua, perché accertata giudizialmente.
Grillo percepisce la possibilità che gli sospendano i contratti in essere e lo scudo legale come una minaccia. Le richieste di risarcimento nei suoi confronti sparse per i tribunali italiani ormai sono poca cosa: non arrivano, in tutto, a centomila euro. Ma è il principio della minaccia che non gli va giù. Poi, certo, c’è il merito. Il garante vede la manleva come un atto dovuto nei suoi confronti, al di là dei contratti. E i compensi come necessari in quanto oltre a occuparsi di comunicazione, dice, sono il suo riconoscimento al lavoro di custode delle regole sacre del M5s. E’ chiaro che non se ne esca. E che questo romanzo epistolare rischi di attorcigliarsi su se stesso in un batti e ribatti in cui si perde il filo del ragionamento. Grillo cerca sponde, questo sì. E va avanti. Non a caso la parte finale della sua lettera è stata letta dai contiani come un tentativo di spingere Roberto Fico e Virginia Raggi a prendere pubblicamente e formalmente le sue difese. Perché? Prima di salutare Conte lo avvisa che girerà le sue minacce agli organi competenti del Movimento. E dunque al comitato di garanzia retto dall’ex sindaca di Roma e dall’ex presidente della Camera. A quando la risposta di Conte? I postini aspettano trepidanti.