il duello

Movimento 5Pec. Così il vaffanculo finisce in una malleveria dominicale

Salvatore Merlo

La rivoluzione è evaporata lasciando a terra una contesa burocratica ed epistolare tra Conte e Grillo che conferma che la nemesi ha fatto ancora una volta un lavoro limpido e asciutto: Grillo voleva violentare la democrazia con la scorciatoia del turpiloquio ma sta finendo stritolato, anzi caducato, da Conte

Avevano iniziato  con “vaffanculo” e finiscono  con “malleveria” e “dominicale”. E infatti quello in giacca e pochette gli scrive: “Le tue reiterate esternazioni  stanno accreditando una concezione dominicale del Movimento e sono del tutto incompatibili con gli obblighi da te assunti con riferimento alla malleveria”. E quell’altro con la barba brada gli risponde citando Dante, Polibio e Tocqueville presi direttamente dal dizionario online delle citazioni. La rivoluzione è evaporata lasciando a terra una contesa burocratica ed epistolare tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo che risulta incomprensibile a chiunque e sarebbe forse trascurabile, in verità, se alla fine non confermasse che la nemesi ha fatto ancora una volta un lavoro limpido e asciutto: Grillo voleva violentare la democrazia con la scorciatoia del turpiloquio ma sta finendo stritolato, anzi caducato, da Conte. Uno che se non stai attento ti pretermette in un attimo. Salvo intese, s’intende. 

 

In questi tempi telefonici, Grillo e Conte si scrivono lettere come Jacopo Ortis  e affondano le loro vicendevoli  imputazioni in commi e riferimenti, statuti e articoli bis, codicilli e norme miracolistiche, affondano cioè nella scienza  dell’azzeccagarbuglismo,  in quell’estrema vischiosità nella quale tuttavia solo uno dei due è un peso massimo, il campione, di più: il campione mondiale, cioè Giuseppe Conte. Grillo eccelle nella  prosa malata ma chiara, nell’insulto che – parole sue – “lubrifica la realtà”. Come quando di Renzi diceva “l’ebetino è andato a dare due linguate al culone della Merkel” o quando diceva che Dudù andava affidato alla vivisezione.

 

La forza sbrindellata e selvaggia: “Scegliemmo Conte perché era perfetto per la politica, quando parlava non si capiva nulla”. Oppure: “Ha preso più voti Berlusconi da morto che Conte da vivo”. Tracotante, rumoroso, violento, capace di battute senza possibilità di replica – “solo io ho l’autorevolezza per insultare” – finché faceva così Grillo metteva paura persino a Conte. Che nei loro incontri privati, all’Hotel Forum a Roma, taceva e opponeva una limatura di sorriso alle battute (badando però sempre al sodo: alla roba). Ma un Grillo che cita Dante, Polibio e Tocqueville, che si rivolge agli avvocati dello Studio Erede e manda Pec come un pensionato iscritto ai corsi serali di giurisprudenza, ecco questo  è un Grillo terminale e inatteso per Conte. Al quale non  deve sembrare nemmeno vero d’essere riuscito a trascinare quello squinternato d’assalto sul suo terreno, quello di chi parla sempre vestito da festa, solenne e vano, affascinato da parole delle quali sarebbe azzardato dire che conosca il senso, appagato dal loro suono.

 

Citiamo a memoria: “L’humus per avere una stella polare”, “l’interlocuzione”, “il tono dialogico”, “la caducazione”, “gli affetti stabili”, “la soggettivizzazione del conflitto” come diceva “Albert Astain. Nemmeno a Napoleone riuscì di gabbare Wellington portandolo a  combattere su un avvallamento fangoso dal quale lo avrebbe schiacciato. A Conte è riuscito. E infatti azzeccagarbuglieranno ancora, via Pec, in tribunale, sui giornali, e poi continueranno anche ovviamente a porte chiuse e lontano da telecamere, cronisti e fotografi, perché solo e sempre di nascosto si impastano i veri pasticci in cui ci sono di mezzo centinaia di migliaia di euro in rimborsi elettorali.

 

Kafka diceva che ogni rivoluzione evapora, lasciando dietro solo la melma di una nuova burocrazia. Ma sarebbe troppo chiamare “rivoluzione” la cretinocrazia grillina. Questa contesa epistolare è invece l’unica cosa davvero comica cui Grillo si sia dedicato da quando tentò con il M5s di sovvertire la politica democratica e la grazia civile, e l’idea che il vaffanculo finisca in una malleveria dominicale ci sembra tutto sommato una buona notizia.
 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.