Cinque anni dopo

Dopo aver unito Pd e M5s, l'Ursula bis spacca il campo largo

Gianluca De Rosa

Nel 2019 il voto del M5s alla Commissione von der Leyen fu il primo passo di uno smottamento politico che portò dal governo gialloverde al Conte 2, oggi invece la nuova Commissione guidata dalla tedesca divide il Pd dal M5s, ma anche da Avs

Goffredo Bettini, dirigente Pd con i modi del guru, teorico del campo largo, anzi larghissimo, lo ricorda spesso: “Tutto è iniziato  con il voto del M5s, per decisione di Giuseppe Conte, alla nuova commissione von der Leyen, con Paolo Gentiloni all'Economia”. Da lì a poco, in effetti, con una spericolata operazione politica, il governo gialloverde, picconato dalla tracotanza alcolica di Matteo Salvini versione Papetee, fu sostituito dal Conte 2, inaspettato governo a trazione Pd-M5s. Esperimento politico oggi in cerca di una replica. Allora insomma, era il 2019,  il voto del M5s a von der Leyen segnò l’inizio di un cambio di fase, il battesimo di una nuova alleanza. Oggi  Pd e M5s lavorano a un nuovo accordo, all’ “Alternativa” a Meloni, come la chiama ormai Schlein, puntando come terza gamba su Avs di Fratoianni e Bonelli. E però la nuova commissione, il von der Leyen bis,  rischia di rappresentare più che un nuovo sigillo, l’alert di qualcosa che non va dentro questo campo largo. Quanto meno il segno che, davanti ai temi cruciali di politica europea e internazionale, per i partiti della sinistra marciare uniti è davvero complicato. Il Pd sosterrà quasi certamente il bis. M5s e Avs invece saranno all’opposizione. Il voto della nuova Commissione da parte del Parlamento europeo si svolgerà tra fine novembre e inizio dicembre. E rischia di palesare questa frattura. Ma una delle tante dimostrazione delle divisioni del campo largo  la si vedrà già oggi. All’Eurocamera arriva infatti una risoluzione per confermare il sostegno militare all’Ucraina, compreso l’utilizzo di armi europee per colpire anche in territorio russo, come chiede Zelensky. M5s e Avs voteranno contro. E il Pd? E’ probabile che gli esponenti dem votino in ordine e sparso. Divisi anche dentro il medesimo partito.


Intanto anche sulla linea da tenere rispetto alla commissione d’inchiesta sull’emergenza Covid i partiti del campo largo si sfaldano.  La commissione è stata istituita ieri. Il presidente sarà il deputato di FdI, Marco Lisei.  Pd, Avs e Azione hanno deciso di non presentarsi alla seduta  per boicottare l’iniziativa della maggioranza. Il M5s ha scelto un’altra linea. E’ arrivato direttamente Giuseppe Conte, capo del M5s e presidente del Consiglio in quei mesi tragici. E’ deciso a difendere punto su punto il suo operato a Palazzo Chigi: “Pensano di mettermi in difficoltà. Ebbene, eccomi qui. A testa alta. Io non scappo di certo”, rivendicava ieri. Ma dire che lui non scappa è un po’ come dire che qualcun altro, il Pd e soprattutto il suo ex ministro della Salute, Roberto Speranza, scelgono invece di non metterci la faccia.


C’è infine la partita Rai. Negli scorsi mesi con malizia Conte ha saputo sfruttare la presenza di un consigliere in quota M5s nel cda di Viale Mazzini, Alessandro di Majo, per ottenere vicedirezioni e incarichi per giornalisti non ostili al mondo 5 stelle. Un atteggiamento ambiguo che non è piaciuto affatto al Pd. Questa volta Schlein ha chiesto a Conte “serietà”. Tradotto: una volta che la destra nominerà il nuovo cda (il prossimo 26 settembre) le opposizioni devono fare muro e non votare il  presidente. Il motto schleinano è: prima la riforma della governance, poi il presidente. Per eleggerlo, visto che è una figura di garanzia, servono i due terzi dei voti della commissione di Vigilanza. La maggioranza da sola non li ha, ma Conte, complice il voto segreto, potrebbe farglieli trovare. Il presidente sogna per il Movimento la direzione di Rainews 24. Questa volta però Schlein, con una certa diffidenza, ha chiesto a tutti di non fare scherzi: quando si tratterà di votare il presidente le opposizioni devono uscire dalla commissione. Ieri però   Conte ha detto: “Se per la Rai ci fosse un presidente autorevole,  non riconducibile a logiche partitiche, lo voteremmo”. Da un lato un modo per smentire quanto anticipato da questo giornale, e cioè la disponibilità dei 5 stelle a votare , Simona Agnes, in quota FI, come presidente. Dall’altra una disponibilità che comunque non è del tutto ritirata, un’offerta per sbloccare un’impasse.

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