Giorgia Meloni e Mario Draghi - foto Ansa

Il vertice

Dove porta l'asse tra Giorgia Meloni e Mario Draghi

Simone Canettieri

Dopo la figlia del Cav., l’incontro con la premier Meloni. Riforme e non solo. Colloquio su competitività, ambiente e accordi su debito comune. La mossa della premier

La settimana prima Marina Berlusconi, quella dopo Giorgia Meloni. Non sono “I giovedì della signora Giulia”, come nel romanzo di Piero Chiara, ma i mercoledì del signor Mario. Che di cognome fa Draghi. Sono le visite a domicilio dell’ex banchiere centrale. Fra Roma e Milano, fra l’abitazione privata della figlia del Cav. e Palazzo Chigi dove lavora la premier. Ieri è stato il giorno del ritorno di Draghi nella sede del governo, a quasi due anni di distanza. L’ultima volta era il 23 ottobre del 2022: cerimonia della campanella, passaggio di consegne e “ciao Mario”. L’incontro è durato 78 minuti. Draghi è arrivato a bordo della sua Passat, con un’auto di scorta, entrando dall’ingresso posteriore. L’ex premier ha risposto all’invito di Meloni scattato dopo la presentazione del rapporto sulla competitività dell’Unione europea.
 

Marina Berlusconi aveva chiesto a Gianni Letta di procurarle un incontro con l’ex banchiere perché non lo conosceva. È bastato che la notizia del vis à vis diventasse pubblica per innescare una ridda di voci e ricostruzioni sull’attivismo della “famiglia” insofferente nei confronti del governo, dunque complottarda, e anche della gestione tajanea di Forza Italia (versione smentita dalla diretta interessata, Marina Berlusconi, con una lettera a Repubblica). Però in mezzo c’era sempre lui: Draghi. I suoi consigli, le sue battute, le sue visioni. E anche l’attivismo di chi continua a essere cercato: da Ursula von der Leyen per il report, dalla primogenita di Berlusconi, dalla presidente del Consiglio che ha preso il suo posto. Mario e Giorgia si danno del tu.
 

Dopo una prima fase di rapporti costanti, all’inizio della legislatura, la consuetudine tra i due si era fatta meno intensa. Ieri, in un certo senso, il legame si è (forse) rinsaldato, almeno seguendo il flusso della cronaca e la nota sfornata da Palazzo Chigi. Di mattina la premier lo ha citato all’assemblea di Confindustria, dicendosi d’accordo con lui sul piano di investimenti per affrontare la transizione green. Poi nel pomeriggio l’incontro. Con il ritorno di Draghi in quelle stanze “rinfrescate” dalla leader di FdI dopo pochi mesi che ne aveva preso possesso (dal Salotto giallo all’anticamera del presidente passando per lo studio che si trova nella Galleria Deti: ha tolto tende e drappi damascati, ha imbiancato pareti giallo oro, con l’aggiunta sulla scrivania della foto di Giovanni Paolo II più varie statuette di angeli, passione della padrona di casa).
 

Meloni in questi giorni è soddisfatta per il bottino portato a casa in Europa con Raffaele Fitto. E chiede a tutti i partiti di votarlo: ne fa una questione italiana e non di parte. L’incontro con Draghi, dopo due anni, va letto in una cornice istituzionale per allargare il respiro e il confronto, visto che Meloni viene dipinta, ormai sempre più spesso, come asserragliata in un bunker, circondata da un manipolo di fedelissimi, sempre più esiguo. Meloni al termine del caffè con il suo ospite (prima ha visto anche l’ad della Rai Roberto Sergio) fa sapere di essere d’accordo nel merito con tutto il rapporto draghiano. In particolare: maggiore impulso all’innovazione, la questione demografica, l’approvvigionamento di materie prime critiche e il controllo delle catene del valore e, più in generale, la necessità che l’Europa preveda strumenti adatti a realizzare le sue ambiziose strategie - dal rafforzamento dell’industria della difesa fino alle doppie transizioni. E poi certo ambiente e transizione ecologica. Punto importante: la possibilità di un nuovo debito comune per affrontare queste sfide. Meloni e Draghi “si terranno in contatto”. Chissà se ci sono incarichi internazionali all’orizzonte o sono solo cortesie per gli ospiti.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.