"Corte dei Conti, meno burocrazia più efficacia". L'appello di Mantovano
"Riformare la Corte dei Conti per un'Italia più efficiente. Essenziale superare la paura della firma". L'intervento del sottosegretario
Pubblichiamo qui di seguito l'intervento conclusivo del sottosegretario di stato alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano al convegno "Una Corte dei Conti sempre più utile al Paese", che si è tenuto ieri, giovedì 19 settembre 2024 a Roma, al Senato (sala Zuccari di Palazzo Giustiniani), organizzato su iniziativa del senatore Salvatore Sallemi e in collaborazione con l’Università di Roma “Tor Vergata”.
1. Partiamo da un dato che immagino condiviso. L’azione delle amministrazioni pubbliche dovrebbe garantire contestualmente il rispetto della legge e la capacità di raggiungere i risultati. L’eccessiva burocratizzazione ne compromette l’efficacia. L’attenzione sbilanciata sul risultato rischia di sacrificarne l’imparzialità.
Il bilanciamento compete al legislatore, come esige l’art. 97 della Costituzione, quando pone la riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici, allo scopo di assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
2. Nella nostra storia, recente e meno recente, in quest’opera di bilanciamento qualcosa è andato storto, sotto vari profili. Uno di questi - certamente non l’unico - riguarda il ruolo e la funzione della Corte dei Conti, cioè dell’organo cui l’ordinamento affida i controlli sulla effettiva realizzazione degli obiettivi di legalità ed efficienza, e le conseguenti azioni di responsabilità in caso di danno per l’erario: ruolo e funzione che considero essenziali.
Lo attesta un dato altrettanto oggettivo: quando si è manifestata la necessità di “rimettere in movimento il motore dell’economia” dopo il blocco causato dal Covid, e si è profilato il più ampio piano di investimenti pubblici degli ultimi decenni, il Recovery Fund – Next Generation EU, il primo intervento che governi precedenti all’attuale hanno sentito il bisogno di introdurre, e poi di estendere, è stato uno “scudo” per evitare che i pubblici dipendenti potessero essere soggetti ad addebiti di responsabilità a titolo colposo. Lo ha fatto il governo Conte II (art. 23 del d.l. n. 76/2020), e poi il governo Draghi lo ha prorogato per comprendervi la fase di attuazione del P.N.R.R. (art. 51 del d.l. n. 77/2021).
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 132 del 16 luglio scorso, redatta dal Prof. Pitruzzella, ha confermato la piena legittimità di questa deroga (parr. 6.6.3, 6.7 e 6.8.), e anzi la sua inevitabilità per conseguire gli obiettivi del P.N.R.R.
Se governi precedenti hanno concordato nel correre ai ripari con deroghe, all’attuale legislatura compete non limitarsi alla proroga, ma affrontare i problemi e risolvere i corto-circuiti che si sono verificati fino a oggi.
La Corte Costituzionale ne ribadisce l’urgenza, quando afferma che “una complessiva riforma della responsabilità amministrativa è richiesta, per ristabilire una coerenza tra la sua disciplina e le (…) trasformazioni dell’amministrazione e del contesto in cui essa deve operare”. L’esigenza nel dibattito di oggi è emersa, in modo pressoché unanime.
3. La p.d.l. Foti, nel suo impianto di fondo, si prende carico di questi problemi. Voglio dire da subito che è una proposta di iniziativa parlamentare, non è un disegno di legge del governo, e ancor meno un decreto legge, come - certamente spinti dall’urgenza - hanno fatto i governi precedenti. L’ordinario percorso parlamentare sta permettendo in sede di audizioni di ascoltare studiosi e addetti ai lavori, in primis i vertici della giurisdizione contabile: già la forma manifesta quindi un rispetto verso l’istituzione e verso la delicatezza delle questioni in gioco.
Questo ovviamente non significa che il governo sia indifferente a quanto viene proposto. La p.d.l. Foti affronta anzitutto due esigenze di sistema:
da una parte, potenzia i controlli preventivi e la funzione consultiva, e con questo garantisce una liberatoria da responsabilità per chi si conformi ai loro esiti, salvi i casi di dolo;
dall’altra parte, riconduce a ragionevolezza l’addebito di responsabilità al dipendente pubblico che abbia commesso un errore ma in buona fede.
4. La prima esigenza è centrale. Se l’ordinamento chiede di sottoporre a controllo preventivo di legittimità determinati atti amministrativi, e se il controllo preventivo è superato con successo, il dipendente pubblico che sottoscriva l’atto, e vi dia seguito, dovrebbe andare esente da responsabilità anche nel caso in cui per qualsiasi ragione un giudice ritenga poi quell’atto illegittimo. Ciò, ovviamente, salvi i casi di comportamenti decettivi. Questo vale a maggior ragione se, come è per la Corte dei Conti, vi sia identità fra l’organo che effettua il controllo preventivo e l’organo chiamato a svolgere il giudizio di responsabilità.
E se è condivisibile la sollecitazione emersa nel dibattito di raccogliere in un testo unico le varie norme sui controlli contabili, mi pare invece infondata la tesi che un’estensione dell’efficacia liberatoria del controllo preventivo di legittimità determini una commistione fra la funzione di controllo e la funzione di amministrazione attiva.
Delle due l’una. O i controlli preventivi di legittimità servono, e allora devono essere effettivi anche sul piano delle conseguenze. O non sono concepibili senza commistione con la gestione attiva, e allora non possono essere affidati a un organo terzo rispetto all’amministrazione.
Non ho dubbi sulla correttezza della prima ipotesi, e quindi della soluzione avanzata dall’art. 1 della proposta. Molti dei relatori lo hanno espresso nel dibattito e anche la Corte Costituzionale lo ha ribadito nella recente decisione. Essa ritiene “meritevole di considerazione” la prospettiva del “rafforzamento delle funzioni di controllo della Corte dei conti, con il contestuale abbinamento di una esenzione da responsabilità colposa per coloro che si adeguino alle sue indicazioni”.
4.2. Allo stesso modo mi sembra appropriata la previsione dell’articolo 2: per questioni concrete di alto valore, estranee ad atti soggetti al controllo preventivo di legittimità, l’amministrazione può chiedere alla Corte dei Conti pareri preventivi attinenti ai profili di contabilità pubblica, con efficacia liberatoria da responsabilità. Sarebbe opportuno, come emerso nel dibattito, specificare il concetto di contabilità pubblica rilevante a questi fini, per evitare che una giurisprudenza troppo restrittiva ricusi di rendere il parere.
Anche sul punto, non può evocarsi il rischio di cogestione. Quando l’Agenzia delle Entrate è chiamata a rispondere alle migliaia di istanze di interpello presentate dai contribuenti, sta forse “co-gestendo” le operazioni a braccetto coi contribuenti? Non si vede perché tale dubbio debba porsi per la Corte dei Conti.
5. Vengo al secondo tema, quello della responsabilità colposa. Il legislatore ha da sempre avvertito la necessità di circoscrivere la responsabilità dei pubblici dipendenti rispetto ai danni che la loro azione, per quanto errata, comporti all’amministrazione. Altrimenti nessun operatore raziocinante sarebbe mai stato disposto ad assumersi la responsabilità di funzioni pubbliche, affrontando questioni complesse, di valore ingente, col rischio di enormi responsabilità patrimoniali personali.
Per questo il legislatore ha da decenni limitato i casi di responsabilità al dolo e alla colpa grave - escludendo quindi la colpa semplice -, e ha assegnato alla Corte il potere di ridurre l’entità della condanna del dipendente pubblico rispetto all’ammontare effettivo del danno patito dall’amministrazione.
Questo sistema si è rivelato inefficace per due ragioni. Da un lato, la giurisprudenza contabile ha sempre più stemperato il requisito della gravità della colpa, e ha ricondotto a tale concetto anche casi di colpa semplice. Alla fine la colpa semplice sussiste solo quando vi sia una radicale assenza di colpevolezza, come nell’ipotesi di obiettiva incertezza normativa. Dall’altro lato, poiché la riduzione è configurata come potere discrezionale del giudice, il dipendente pubblico affronta un processo e paga le spese legali in base all’addebito originario, che spesso è più elevato della condanna. Il beneficio della riduzione, quindi, è del tutto aleatorio, come rileva la stessa Corte Costituzionale.
Nonostante quanto viene ribadito a ogni inaugurazione di anno giudiziario davanti alla Corte dei Conti, la paura della firma è rimasta, e anzi è cresciuta con l’aumentare della complessità delle questioni trattate e dei valori in gioco. Lo illustra bene la Corte Costituzionale, al par. 6.5. della decisione citata. La paura della firma è causa fondamentale dell’inefficienza dell’azione amministrativa, della burocrazia difensiva, del mancato conseguimento dei risultati. Non richiede terapie psicologiche, esige risposte normative.
6. La p.d.l. interviene poi su altri fronti. Anzitutto individua ipotesi in cui la responsabilità del dipendente pubblico possa essere fatta valere soltanto in caso di dolo, anche attingendo a norme già previste dall’ordinamento (art. 1 c. 1, n. 2 della p.d.l.). Senza questa limitazione, che da anni vale per i funzionari tributari, gli accertamenti con adesione e le conciliazioni non verrebbero mai sottoscritti. Immaginiamo la fase dell’accertamento tributario senza l’accertamento con adesione: l’effetto sarebbe la drastica contrazione delle entrate per lo Stato e il vertiginoso aumento dei contenziosi. La p.d.l. Foti opportunamente estende la previsione a fattispecie analoghe, in materie non tributarie. Il che permette di superare la “cultura” di procrastinare contenziosi persi o comunque assai incerti, al solo fine di evitare di assumersi responsabilità. La Corte Costituzionale ha confermato la legittimità di tale limitazione “in relazione a determinate tipologie di atti, in ragione della particolare complessità delle loro funzioni”.
6.1. Inoltre, ed è questo il cuore dell’intervento, la p.d.l. pone un tetto alla responsabilità patrimoniale del dipendente pubblico nel caso in cui il suo comportamento sia stato dettato, non da dolo, ma da colpa grave. Si rende in tali casi obbligatorio l’esercizio del potere riduttivo da parte della Corte dei Conti (nuovi commi 1-bis e 1-octies dell’art. 1 della l. n. 20/1994, secondo la modifica proposta dall’art. 1, c. 1, nn. 3 e 4 della p.d.l.).
Sono queste le misure a mio avviso più qualificanti della proposta di legge, insieme alla previsione dell’obbligo da parte del dipendente pubblico di assicurarsi contro il rischio di incorrere in responsabilità erariale (nuovi commi 1-novies e 4-bis dell’art. 1 della l. n. 20/1994, secondo la modifica proposta dall’art. 1, c. 1, nn. 3 e 4 della p.d.l.).
6.2. Le obiezioni al “tetto” di responsabilità non paiono fondate. Limitare a due anni di trattamento economico complessivo annuo lordo l’esposizione patrimoniale del funzionario o dipendente pubblico in caso di responsabilità colposa non compromette affatto la funzione “deterrente” della responsabilità amministrativa. Se, poi, il dipendente è un totale incapace, sarà l’azione disciplinare a trarne le conseguenze, se del caso licenziandolo per giustificato motivo (come di recente riaffermato dalla Cassazione, 5614/2013).
La Corte Costituzionale suggerisce di “vagliare con attenzione” “la generalizzazione di una misura già prevista per alcune specifiche categorie, ossia l’introduzione di un limite massimo oltre il quale il danno, per ragioni di equità nella ripartizione del rischio, non viene addossato al dipendente pubblico, ma resta a carico dell’amministrazione nel cui interesse esso agisce”.
L’introduzione del “tetto” alla responsabilità colposa è a mio avviso lo strumento più adeguato per affrontare la paura della firma. L’alternativa della tipizzazione dei casi di colpa grave, autorevolmente discussa anche in questa sede, è troppo aperta a incertezze interpetative. Una tipizzazione del genere richiede per natura il ricorso a clausole aperte e concetti vaghi, che non offrono garanzie di certezza del diritto idonee.
Aggiungo, sotto la voce efficienza, che se l’entità delle somme recuperate all’esito delle condanne contabili è limitatissima rispetto alle contestazioni iniziali (meno del 10%, come ci ha ricordato il Prof. Marini), allora veramente non si comprendono le resistenze alle modifiche proposte.
A proposito dell’efficienza della stessa giurisdizione contabile, il Prof. Marini ha ricordato come la media di udienze per magistrato addetto alle sezioni giurisdizionali sia di 0,4 giorni al mese e la media di sentenze sia di appena una al mese. Va tutto bene? Non è il caso di cogliere l’occasione di questa riforma per immaginare un razionale accorpamento delle sezioni territoriali, sulla base della loro produttività? È più che opportuno che il carico di lavoro sia tendenzialmente omogeneo rispetto a quello medio delle altre giurisdizioni.
7. Nella relazione pronunciata ieri all’assemblea di Confindustria il presidente Emanuele Orsini ha detto che “c’è un’Italia che manda avanti l’Italia, superando ostacoli di ogni tipo, e (…) c’è un’Italia che frappone ostacoli, che si nasconde dietro la burocrazia e che evita le responsabilità”. È una domanda che riguarda pezzi significativi delle amministrazioni pubbliche, centrali e territoriali. Ma spero che non sia considerato blasfemo chiedere al Parlamento, che in questo momento ha all’esame la p.d.l. Foti: di quale Italia desideriamo che faccia parte la Corte dei Conti?
La proposta di legge esaminata oggi fornisce un contributo a circoscrivere la portata in apparenza provocatoria del quesito. Il governo ne segue i lavori con attenzione: convinto, come recita il titolo di questo convegno, che la Corte dei Conti possa, e debba, diventare “sempre più utile al Paese”. Vi ringrazio.