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La mattina andavamo in Cassazione

Oltre la cittadinanza. Così le opposizioni si dividono (anche) sui referendum

Ruggiero Montenegro

Magi presenta le firme per cambiare la legge sulla cittadinanza, Conte si smarca e attacca la proposta. L'iniziativa contro il Jobs act divide il Pd, mentre Renzi prepara la contro campagna, apre i comitati e sfida i dem. E pure sull'autonomia c'è chi vuole distinguersi, come Calenda

Scatoloni, firme, foto di rito. E poi, immancabili, ecco i distinguo tra le opposizioni. Dopo Maurizio Landini – che da quelle parti è ormai di casa – ieri la scena se l’è presa Riccardo Magi, segretario di +Europa. Consegnava le firme per modificare la legge sulla cittadinanza, per il referendum che punta ad abbassare da 10 a 5 gli anni di residenza in Italia necessari agli stranieri per presentare la domanda. Una battaglia che si aggiunge a quelle promosse a suon di banchetti dalla Cgil, contro Autonomia differenziata e Jobs act. E che proprio come le altre iniziative, insieme all’indubbia efficacia mediatica, rischia  alla lunga di aggiungere ulteriore acredine tra le opposizioni, in questo continuo gioco identitario  dove tutti reclamano spazio e nessuno vuole farsi oscurare.

Magi si è presentato con 637.487  firme, invitando tutti a prendere posizione. Ma stavolta, a differenza delle occasioni precedenti, gli altri leader di minoranza non si sono fatti vedere. Il Pd, che sarebbe anche per lo Ius soli, ha fatto sapere di essere favorevole. Parole di sostegno  le ha spese nei giorni scorsi anche Elly Schlein, che però ieri era a Milano. Tra i firmatari  pure  Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni per Avs, Carlo Calenda e Matteo Renzi per il fu Terzo Polo. E Giuseppe Conte? “In questo modo rischiamo di seppellire completamente la riforma sulla cittadinanza”, si è smarcato  l’ex premier, ha picconato la proposta,  riconoscendo invece i meriti a Forza Italia per aver messo al centro del dibattito lo Ius scholae: una misura, questa sì, che piace al M5s. “Il paese non è pronto per la riforma della cittadinanza”, ha quindi aggiunto Conte. Che invece ha meno dubbi sul Jobs act, o meglio sulla volontà di cestinare quel che resta (la Consulta in questi anni ne ha già smontato una parte) della legge bandiera renziana.

 

A luglio, Landini aveva portato in piazza Cavour  oltre 4 milioni di sottoscrizioni, non quelle dei centristi, ma  incassando il supporto del leader grillino – che  aveva giocato d’anticipo su Schlein e sulle indecisioni del Pd.  L’attuale segretaria se n’era andata dal partito proprio in polemica sul Jobs act, è tornata  e dopo qualche esitazione si è schierata convintamente con il sindacato. Ma non tutti al Nazareno sono pronti a combattere contro se stessi. Il problema  è che molti dem quella legge sul lavoro l’hanno sostenuta, ricoprendo in quella stagione cariche di primo piano. L’imbarazzo c’è e potrebbe diventare qualcosa di più, uno psicodramma, se si andasse  effettivamente al voto.  Renzi non vede l’ora. Ha ringraziato  Landini e ha annunciato che da oggi  partono i comitati per il no. “Nel Pd – ha ricordato il leader di Iv –  il 90 per cento ha votato a favore. Tutti quelli che erano in Parlamento e al governo, sul territorio che fanno?”. Chissà. Sono cortocircuiti che rischiano di avere ricadute pratiche sulla già faticosa costruzione di un’alleanza che si rompe un giorno sulla Rai e l’altro in Liguria. Dove il campo largo ha stracciato l’apparentamento già siglato con Iv, ma si è tenuto  Calenda. L’unico che ha preso le distanze dalla consultazione contro l’Autonomia  di Calderoli. Mentre i leader dell’opposizione si facevano fotografare con Landini sulla scalinata del Palazzaccio, ecco che il capo di Azione spiegava: “Se verrà indetto noi voteremo contro l’autonomia. Ma è lo strumento sbagliato. Difficile raggiungere il quorum. Rischia di legittimare il provvedimento del governo”. Un altro referendum, un altro distinguo. La mattina andavamo in Cassazione, è alla sera che iniziavano i problemi.   
 

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