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l'editoriale del direttore

I primi due anni di Meloni spiegati con le splendide piroette sui poteri forti

Claudio Cerasa

Discontinuità non dai politici del passato ma dal proprio passato politico. La distanza tra la Giorgia di ieri, di lotta, e quella di oggi, di governo, è incredibile

BlackRock, Musk, lo spread, i privati: e poi? Se la Giorgia di un tempo vedesse la Meloni di oggi probabilmente rischierebbe lo svenimento. Se la Giorgia di un tempo vedesse la Meloni di oggi, soprattutto quando si parla di economia, probabilmente rischierebbe un mancamento. Se la Giorgia di un tempo vedesse la Meloni di oggi, soprattutto quando si parla di grandi capitali,  probabilmente rischierebbe un esaurimento. C’è stato un tempo, non troppo remoto, in cui la Giorgia di lotta, e non ancora di governo, considerava demoniaco tutto quello che sta facendo oggi la Meloni molto di governo e poco di lotta. C’è stato un tempo non molto remoto in cui la Giorgia di lotta e non ancora di governo chiedeva di non vendere la compagnia di bandiera agli stranieri e soprattutto ai tedeschi (2022), chiedeva di non vendere agli stranieri le quote di Tim e semmai di nazionalizzare Tim per portare la rete unica sotto il cappello dello stato (2022), chiedeva di non vendere altre quote di Poste perché vendere quote di Poste significava svenderla (2018), chiedeva di stare alla larga dai grandi speculatori pronti a colonizzare l’Italia (2020), chiedeva di considerare lo spread come un’arma usata troppo spesso contro la democrazia italiana (2018), chiedeva di non favorire in nessun modo le grandi concentrazioni economiche, la speculazione finanziaria (2020).

La distanza tra la Giorgia di ieri, di lotta, e la Meloni di oggi, di governo, è incredibile, a tratti da capogiro, e se la Giorgia di ieri vedesse quello che sta combinando la Meloni di oggi probabilmente chiederebbe con urgenza le sue dimissioni.

Nell’ordine. Il governo Meloni ha venduto la compagnia di bandiera ai tedeschi di Lufthansa. Ha accettato di vedere venduti asset strategici di Tim a un fondo di investimento chiamato Kkr. Ha accettato di mettere in vendita un importante pacchetto pubblico di Poste. Ha aperto le porte di Palazzo Chigi a quelli che un tempo avrebbe definito i compagni di merende di George Soros. Ha scelto di privatizzare una banca in mano allo stato (Mps). Ha scelto di mettere sul mercato un’azienda in mano allo stato (Fs). Ha scelto di trasformare coloro che un tempo considerava come l’emblema del ricatto  contro la democrazia in un simbolo del buon funzionamento del governo (lo spread). E ha fatto della possibilità di investimenti nel nostro paese dei grandi conglomerati internazionali (Google, Microsoft, Tesla, SpaceX) il simbolo della capacità dell’Italia di proteggere il proprio interesse nazionale. Se la Meloni di governo dovesse trovare il tempo di andare a vedere quanta demagogia ha sparpagliato sul campo da gioco (non parleremo di ciò che diceva dell’Europa), quanto populismo ha contribuito ad alimentare (non parleremo di ciò che diceva sulla necessità di votare per il commissario presentato dall’Italia in Europa: nel 2019, ai tempi di Gentiloni, invitò il suo partito a votare contro) probabilmente penserebbe al fatto che il populismo che ha fatto crescere è lo stesso populismo con cui oggi a volte cerca di lottare dai banchi del governo. E’ ovvio. Vedere la Meloni pro mercato, pro imprese, pro globalizzazione, pro agglomerati, pro Europa genera un sospiro di sollievo pensando a ciò che sarebbe successo se la Meloni di oggi fosse stata simile alla Giorgia di ieri. E per questo viene da sorridere quando il mondo politico italiano, quello che gravita attorno al campo largo, osservando le piroette di Meloni non trovi di meglio da fare che rimproverare alla Meloni di oggi di essere incoerente rispetto alla Giorgia di ieri senza rendersi conto che così facendo mentre Meloni fa passi in avanti, smentendo se stessa, l’opposizione fa passi indietro, rimproverando a Meloni di essere cambiata.

Dopo due anni di governo, la discontinuità di Meloni rispetto al passato la si può individuare in molti campi. Ma quello forse più significativo riguarda un campo specifico: la discontinuità del governo Meloni non dai politici del passato ma dal proprio passato politico. Cin cin, auguri e viva i poteri forti.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.