Nomine
La maggioranza accelera sul nuovo giudice della Consulta. Marini favorito su Deodato
"Evitate missioni e altri impegni di ogni genere. Presenza inderogabile”, è il messaggio recapitato dai leader di governo ai propri parlamentari, annunciando che l'intesa sul nome è stato trovato. Martedì il Parlamento in seduta comune proverà a elegge il nuovo giudice della Corte costituzionale. In pole position nomi vicini alla premier Giorgia Meloni
Salgono le quotazioni di Francesco Saverio Marini, soprattutto, e di Carlo Deodato. Dopo mesi di stallo, l’accelerata sul nuovo giudice della Corte costituzionale è arrivata ieri: “Colleghi per il voto di martedì evitate missioni e altri impegni di ogni genere”. A colazione squilla il telefono dei parlamentari di maggioranza, dai piani alti arriva l’ordine di scuderia. Lo manda Fratelli d’Italia, ma arriverà anche agli alleati. E ai giornalisti, scatenando così le ire della premier Meloni verso i suoi per la fuga di notizie. “I leader della coalizione hanno deciso di esprimere una indicazione che dovrà avere il massimo sostegno per arrivare al quorum prescritto. Seguiranno i dettagli. Nell’attesa va confermata la presenza inderogabile”, si legge nel messaggio recapitato a deputati e senatori, compresi ministri e vice.
Martedì prossimo, alle ore 12,30, è infatti convocato il Parlamento in seduta comune per l’elezione del quinto giudice della Consulta, di indicazione parlamentare. Casella rimasta vacante dopo la fine del mandato di Silvana Sciarra. Sarà l’ottavo scrutinio, per una nomina che si trascina ormai dallo scorso dicembre e sulla quale era intervenuto anche Sergio Mattarella: “Invito con garbo, ma con determinazione, a eleggere subito questo giudice”, fu il monito del presidente della Repubblica lo scorso luglio. Necessario un quorum di garanzia alto, tre quinti dei parlamentari (per i primi tre scrutini bisognava raggiungere i due terzi). Questa volta potrebbe dunque essere quella buona, la maggioranza a trazione meloniana può farcela (quasi) da sola, dopo i numerosi tentativi andati a vuoto. Rispetto ai precedenti infatti lo scenario in Parlamento è cambiato: dall’inizio della legislatura (nella prima fiducia i sì al governo furono 236 alla Camera e 115 al Senato) la maggioranza si è ingrossata, con quasi una decina di parlamentari in più, grazie agli arrivi di ex calendiani, di ex grillini e non solo. Questo permetterebbe di superare l’impasse dovuta al mancato accordo con le opposizioni, rendendo l’obiettivo alla portata. Per mettersi al riparo da defezioni e brutte sorprese, qualche piccola sponda dovrà essere probabilmente trovata anche tra i parlamentari di minoranza. Si vota a scrutinio segreto e ieri dalla maggioranza emergeva un cauto ottimismo.
I due nomi principali che si sono fatti strada nelle ultime ore sono quelli di Francesco Saverio Marini e Carlo Deodato. Il primo, favorito, è il figlio di Annibale Marini, giurista vicino ad Alleanza nazionale e già presidente della Corte costituzionale tra il 2005 e il 2006. Francesco Marini è considerato da molti come il cervello dietro alla riforma più cara a Meloni, il premierato. Il costituzionalista figlio d’arte, consigliere giuridico del governo, ha affiancato la ministra Elisabetta Casellati nei tavoli con gli altri partiti e si è occupato della stesura di alcuni articoli del testo di legge. E’ insomma uno dei principali artefici della “madre di tutte le riforme”. L’altro profilo preso in esame è quello di Carlo Deodato, che a Palazzo Chigi è di casa, essendo dall’ottobre 2022 segretario generale della presidenza del Consiglio. Prima aveva ricoperto lo stesso incarico alla Consob. E’ stato inoltre magistrato ordinario e presidente di sezione del Consiglio di stato. Nelle trattative sarebbero emersi, e poi lasciati cadere per varie ragioni, anche i nomi di Bernadette Nicotra (consigliera togata del Csm), Ginevra Cerina Feroni (attualmente vice dell’autorità Garante della privacy ed editorialista di vari quotidiani, tra cui il Giornale) e infine Massimo Luciani (costituzionalista a cui Marta Cartabia affidò la riforma del Csm), gradito alle opposizioni. Ma la sensazione è che alla fine la scelta ricadrà su uno dei due profili più vicini al governo. Una mossa che potrebbe tornare utile all’esecutivo anche in vista dei prossimi passaggi che a breve coinvolgeranno la Corte. Per esempio quello sull’Autonomia differenziata, dopo che Puglia, Sardegna, Campania e Toscana (guidate dal centrosinistra) hanno impugnato la legge Calderoli.
Tutto lascia quindi pensare che martedì arriverà finalmente la fumata bianca. Anche perché, oltre a Mattarella, una forte sollecitazione è arrivata pure da Augusto Barbera, l’attuale presidente della Consulta. Barbera è stato eletto nove anni fa, il suo mandato scade a dicembre, così come per altri due giudici Franco Modugno e Giulio Prosperetti. Il Parlamento sarà chiamato quindi di nuovo a riunirsi tra pochi mesi, ma è probabile che in questo caso si proceda in maniera più spedita. Con tre nomine in gioco sarà teoricamente più facile trovare un accordo con le opposizioni, in una sorta di spoils system che dovrebbe garantire la rappresentanza di sensibilità diverse. O almeno così si spera.