(foto Ansa)

Giorgetti, basta la parola

Non chiamatela tassa sugli extraprofitti, ma giusti profitti. Ora sì che piace pure a Tajani

Salvatore Merlo

Il ministro potrà chiamarla come vuole ma sempre tassa rimane.  Un po’ come quando nel 2017, mentre le strade di Roma si riempivano di spazzatura, al comune i grillini trovarono il modo di risolvere l’emergenza sostituendo nei documenti ufficiali la parola “spazzatura” con quella di “materiali post-consumo”. Geniale

Ci piaccia o no, oggi viviamo tutti in un mondo di travestimenti. Per esempio il lestofante che vi affibbia un villino destinato a cadere a pezzi quando avrete pagato l’ultima rata del pianoforte non si chiama più sensale, ma operatore immobiliare.  Dev’essere per questo che l’altro giorno, Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, ha detto che è sbagliato parlare di “extraprofitti”. La tassa comunisteggiante che fa girare le scatole al mondo dell’impresa, alle banche, alla Borsa, ma anche ad Antonio Tajani e a Marina Berlusconi, va chiamata giusti profitti.  Ora Giorgetti potrà chiamarla come vuole ma sempre tassa rimane.  Un po’ come quando nel 2017, mentre le strade di Roma si riempivano di spazzatura, al comune i grillini trovarono il modo di risolvere l’emergenza sostituendo nei documenti ufficiali la parola “spazzatura” con quella di “materiali post-consumo”. Geniale. Ma sempre monnezza era. Eppure, sembra di capire che, secondo Giorgetti,  adesso che si chiama giusti profitti la tassa è accettabile. Adesso sì che la norma funziona, ora sì che piacerà all’impresa, alle banche, alla Borsa, a Tajani e pure a Marina. Quel che giusto è giusto, profitto o no.

D’altra parte, come cantava Barbara Bouchet a proposito del noto confetto (che più di qualcosa aveva in comune con le tasse): basta la parola. Ci resta soltanto la curiosità di sapere se anche Tajani e gli altri, come noi, ascoltando Giorgetti, hanno ripensato a quell’antica storiella inglese. Ve la ricordate?  Una bella e aristocratica signora, accompagnata da una guida, fa una gita in campagna a cavallo di un pony. Giunta a destinazione, rifiutando ogni aiuto, scende di sella con un balzo leggero. Ma per il salto la gonna le si alza oltremisura. Allora la dama, per vincere la subìta vergogna, domanda con allegria allo stalliere: “Avete visto la mia agilità?”. “Signora – risponde il campagnolo bonario  – noi la chiamiamo in un altro modo, ma se lei preferisce nominarla così…”. Ecco, appunto. 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.