il caso
"No al divieto". Ma gli scontri di sabato sbugiardano le opposizioni
Agenti feriti, fermi e arresti confermano che la scelta del Viminale di vietare la manifestazione pro Pal era giusta e dettata da esigenze di ordine pubblico, e non dalla volontà di reprimere il dissenso come avevano detto in coro Pd, M5s, Avs, Iv +Europa. Mentre Calenda ribadisce: "Giusto vietare la manifestazione"
A fugare ogni dubbio, a confermare la legittimità della scelta del Viminale, alla fine è stato il bilancio amaro della manifestazione. Trentaquattro feriti tra le forze dell’ordine, quattro fermati, tra cui un arrestato (è ai domiciliari), 200 allontanati prima dell’inizio e 51 con foglio di via. “I fatti hanno dimostrato che avevamo visto giusto”, ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Parlava degli scontri che hanno segnato il finale della manifestazione pro Palestina di sabato scorso, terminata con attacchi agli agenti, bombe carta e successive cariche. Ma rispondeva anche a quanti, nelle opposizioni, avevano attaccato ministero e governo per una decisione considerata “antidemocratica” e mirata a silenziare il dissenso. Piantedosi aveva spiegato invece che la scelta, dopo una serie di tavoli tecnici, fosse di natura tecnica, dettata esclusivamente da necessità di ordine pubblico, e non da letture politico-ideologiche. Una decisione le cui ragioni si potevano già intravedere nelle parole d’ordine scelte dagli organizzatori, in quei messaggi che definivano la mattanza operata da Hamas il 7 ottobre del 2023 come l’inizio di una rivoluzione. E soprattutto nel rischio di infiltrazioni nel corteo che puntualmente si sono verificate. Così si era arrivati al divieto e alla scelta di circoscrivere i manifestanti comunque in arrivo nella zona di piazzale Ostiense, evitando cortei per le vie di Roma. Timori poi comprovati dai fatti avvenuti in piazza.
Nei giorni precedenti tuttavia, a eccezione di Carlo Calenda (che lo ha ribadito anche oggi: “Vietare è stata la scelta giusta”) tutte le forze di opposizione si erano schierate in blocco contro Piantedosi. Dal Pd al M5s fino a Renzi e + Europa, a turno tutti avevano sminuito i rischi delineati dal ministero. E pur stigmatizzando i contenuti dell’iniziativa pro Palestina chiedevano al Viminale di fare una scelta diversa. Era partito il Movimento 5 stelle, con una interrogazione parlamentare sostenuta da 15 deputati. “Vietare le manifestazioni è sempre, in ogni caso, un errore e un brutto segnale perché si tratta di una limitazione arbitraria di un diritto fondamentale dei cittadini”, la parole della deputata Stefania Ascari, prima firmataria dell’interrogazione. Per una volta in sintonia con i grillini, Matteo Renzi aveva parlato di “scelta sbagliata. La libertà di espressione e manifestazione non può essere censurata”. Dello stesso segno erano pure le dichiarazioni di Avs, dai leader Bonelli e Fratoianni fino al capogruppo in Senato Giuseppe De Cristofaro e di +Europa con Riccardo Magi. Mentre per il Pd si erano espressi Laura Boldrini: “Ritengo che il 7 ottobre ci sia stato un attacco terroristico che in alcun modo è interpretabile come rivoluzione. Tutto ciò premesso vietare le manifestazioni è un segnale negativo che stride con la Costituzione”. E poi Marco Furfaro: “Questo governo sa solo reprimere e punire, ma la democrazia è ben altro. Combattere l’antisemitismo è sacrosanto, criminalizzare e banalizzare è la cosa più stupida che la politica possa fare”, attaccava il deputato, molto vicino a Schlein. In realtà nella piazza di sabato, prevalentemente pacifica, ci sono stati anche slogan antisemiti, alcuni hanno rilanciano la versione di Hamas e hanno sfilato pure le bandiere di Hezbollah.
Circostanze che hanno spinto, per dire, Edit Bruck, sopravvissuta ai lager nazisti, a puntare il dito contro la segretaria del Pd. “Avrebbe dovuto prendere le distanze nettamente e invece tace, proprio lei che ha origini ebraiche. Per paura di perdere voti”, ha detto Bruck alla Stampa. La condanna da parte di Schlein è poi arrivata, domenica sera, ma ci sono volute oltre 24 ore e le domande dei giornalisti. E solo dopo che altri nel Pd, in maniera ben più tempestiva, come Guerini, Alfieri o Malpezzi, sono intervenuti subito e senza esitazioni. “Alla manifestazione non è andato nessuno del Pd, non era organizzata dal Pd, non ha aderito il Pd e aveva una piattaforma molto distante dalla nostra”, ha risposto dunque Schlein a chi l’accusava di essere timida e ambigua. Ma certo, per chi coltiva ambizioni di governo, usare parole chiare e magari non aspettare quasi due giorni, potrebbe essere utile a evitare fraintendimenti.