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in Europa

Il Parlamento Ue si divide sul 7 ottobre. Distinguo, subordinate e pure una kefiah

Pietro Guastamacchia

Davanti ai familiari degli ostaggi, il Pse dà il peggio di sé in un’Eurocamera indifferente, tra solidarietà condizionata ed equilibrismo geopolitco. Ma c’è chi va ancora oltre: per i Verdi ieri era l’anniversario di “un anno terribile di devastazione” 

L’anniversario del massacro del 7 ottobre a Strasburgo cade nell’afonia di un’aula “sorda e grigia”, come nella più triste delle citazioni. Il sincero applauso degli eurodeputati ai familiari degli ostaggi, seduti in tribuna, è tutto quello che l’Eurocamera ha saputo offrire prima di aprire i rubinetti a una sfilza di distinguo, di solidarietà condizionate e di equilibrismi geopolitici. Il dibattito d’altronde nasceva monco: non ci sarà infatti un testo in questa plenaria. Non ci saranno emendamenti da votare sul ricordo del 7 ottobre, né paragrafi da negoziare, né bottoni da schiacciare. I gruppi hanno infatti scelto il dibattito senza risoluzione perché sanno che una posizione non c’è. 

Mentre gli eurodeputati socialisti viaggiavano verso Strasburgo lunedì mattina, il gruppo discuteva la linea scelta chiesta dirigenza spagnola del gruppo: bilanciare ogni condanna ad Hamas con una critica “all’estremista di destra Netanyahu”, la linea Sánchez insomma, tanto per cambiare. Un mantra che la capogruppo Iratxe García Pérez ha trasformato in uno zoppicante tweet in cui tutto, ostaggi, vittime palestinesi e guerra in Medio Oriente diventano solo “l’eredità di Netanyahu”.

Ma c’è chi fa peggio: per i Verdi sui social, ieri era l’anniversario di “un anno terribile di devastazione”. A ripagare del viaggio fino a Strasburgo i familiari degli ostaggi forse sono bastate le parole di Metsola: “L’orrore di quel giorno vivrà nell’infamia. Non c’è nulla che possa mai giustificare l’omicidio di massa indiscriminato, lo stupro, i rapimenti e la tortura che si sono verificati un anno fa, quando persone sono state bruciate nei loro kibbutz”, ma dopo la presidente si apre il nulla. Né i popolari, né i socialisti mandano infatti i rispettivi capigruppo in Aula. Il Ppe schiera il tedesco Daniel Caspary, mentre per i socialisti parla il greco Giannis Maniatis. Il primo capogruppo a prendere la parola è il lepenista Bardella, che coglie l’occasione del ricordo del dramma per tornare a parlare di sottomissione all’islamismo militante. Dai banchi della sinistra non si può non notare la kefiah dell’eurodeputata francese del partito di Mélenchon, Hassan Rima, cittadina della République nata nel campo profughi palestinese di Neirab, vicino ad Aleppo. Qualcuno dal Ppe sdrammatizza: “Ha diritto di indossarla, ci mancherebbe, anche Weber a volte si veste da bavarese”.

In Aula ci sarebbe anche Borrell, a proposito di socialisti spagnoli, che infatti ricorda che “la tragedia è che la soluzione dei due stati, l’unica per cercare di costruire la pace, non ha l’appoggio di una delle parti, ovvero l’attuale governo di Israele”, per poi passare  a criticare “l’assenza dell’Ue”, ovvero la sua. Relegata in fondo alla lista degli oratori, la voce di Sergey Lagodinsky, eurodeputato verde tedesco nato ad Astrachan in Unione Sovietica, che ricorda: “Agli ebrei oggi vengono chieste prestazioni impossibili. Non possono difendersi, possono essere vittime ma senza reagire, e in quel caso nessuno li odia. Ma se per caso un ebreo alza la mano per difendersi, il cielo ci crolla addosso”. Subito dopo Lagodinsky parla il liberale francese Bernard Guetta, un passato da trotzkista e da corrispondente di Le Monde: “In questo giorno è davvero così difficile capire Israele?”. Ma in sala ormai non è rimasto quasi nessuno.
 

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