Il racconto
Meloni fallisce il blitz su Marini, le opposizioni si tengono nel sospetto. Ipotesi accordo a novembre su 4 giudici
Non passa l'indicazione della premier per la Corte costituzionale: la maggioranza vota scheda bianca. Trattative con l'opposizione, in vista della scadenza del mandato degli altri giudici della Consulta, per votare fra un mese un pacchetto
Gli accusati di voler tingere di nero le istituzioni, si rifugiano nel bianco della scheda. E’ la purezza del fallimento. Anche se la fumata sul giudice della Corte costituzionale alle fine sarà come la pece: nera, nerissima per l’ottava volta. Gli altri, le opposizioni del nuovo fronte repubblicano, salgono sull’Aventino dove ormai hanno ottenuto la cittadinanza. Dunque non entrano in Aula e non passano sotto il catafalco del voto segreto per non tentare chi tra di loro poteva tirare uno scherzetto, zitto zitto, aiutando la maggioranza. Finisce così la seduta congiunta del Parlamento per eleggere Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico della premier Giorgia Meloni, che venerdì scorso via chat aveva mobilitato le truppe del centrodestra convocando tutti all’appuntamento di ieri, convinta di avere anche quei 3-5 voti necessari dell’opposizione per il colpaccio.
L’aiuto sarebbe dovuto arrivare dal M5s di Giuseppe Conte anche se l’ex premier nega sdegnato alla sua maniera: “Nessun contatto con una maggioranza proditoria”. Elly Schlein, leader del Pd, tutta contenta a fine pomeriggio di aver fermato il centrodestra: no pasaran! Qualcosa accade di prima mattina quando il telefono di Tommaso Foti e quello di Giovanni Donzelli iniziano ad andare in ebollizione. Anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, capisce che al di là delle chiamate di rito per evitare assenze i numeri hanno comunque la testa più dura: servono i voti di 363 parlamentari, servono che 363 persone scrivano Marini. Mancando una sponda nelle opposizioni e con le solite assenze fisiologiche Fratelli d’Italia, e quindi anche Giorgia Meloni, capisce che non si può tentare l’azzardo: il rischio di bruciare il candidato alla Consulta è troppo alto, è enorme.
E così, fra messaggi in chat e telefonate della resa, la maggioranza decide di optare per la scheda bianca. Un modo almeno per contarsi. Alla fine le schede bianche sono state 323 (per il quorum servivano 40 voti in più), le nulle 10, 9 i voti dispersi e nessun astenuto. Anche se molti nel centrodestra, seppur presenti a Montecitorio, non hanno neanche votato dopo che era stato stato deciso di optare per la scheda bianca. Ecco il resoconto della Camera, di chi alla fine non ha preso la scheda. Un po’ perché era una fatica inutile, un po’ perché non c’era. In Fratelli d’Italia mancavano Giovanbattista Fazzolari, Daniela Santanchè, Andrea Di Giuseppe, Raffaele Fitto, Elisabetta Gardini, Giorgia Meloni, Attilio Pierro. In FI Licia Ronzulli, Deborah Bergamini, Patrizia Marrocco, Pietro Pittalis, Alessandro Sorte, Antonio Tajani (in Argentina). Due gli assenti tra Noi Moderati: Calogero Pisano e Franco Tirelli. Dodici i parlamentari della Lega assenti: Lucia Borgonzoni, Gianmarco Centinaio, Matteo Salvini, Simona Bordonali, Umberto Bossi, Francesco Bruzzone, Andrea Crippa (seppure presente a Montecitorio), Giancarlo Giorgetti (di ritorno dall’Ecofin di Bruxelles), Elena Maccanti, Nicola Molteni, Massimiliano Panizzut, Rossano Sasso.
In compenso la chiamata, per quanto vana, ha celebrato l’ostensione in Transatlantico di corpi rarissimi e quasi sempre assenti: il deputato editore, eletto con la Lega, Antonio Angelucci e la forzista Marta Fascina, ex compagna del Cav. Dettagli di una giornata piena di sbuffi. La premier risulta sconfitta: ha tentato la prova di forza, ma le è andata male. L’opposizione risulta unita, anche se legata dal filo del sospetto (dopo il voto sul cda della Rai, i rapporti fra Conte e Schlein sono sotto lo zero e ne risente anche l’elezione della presidente Simona Agnes che non potrà contare sul sì in commissione dei 5 stelle, osservati speciali, per la gioia di Antonio Marano che nel frattempo, da consigliere più anziano, quota Lega, diventerà presidente).
Maggioranza e opposizioni berciano. Sul conflitto d’interessi di Marini, esce una nota (made in Fazzolari, per gli esegeti della comunicazione di FdI) in cui si ricorda che “nel settembre 2022, ad esempio, venne nominato alla consulta Marco D’Alberti, consigliere giuridico del presidente Draghi”. Peccato che nel frattempo il governo dell’ex banchiere fosse già caduto.
La premier, racconta chi la conosce, non molla: ripresenterà Marini nelle prossime settimane. Questa volta però in base a un accordo, tutto da testare e ancora lontanissimo da trovare. Nel governo circola l’idea di rivotare a fine novembre per trovare un’intesa sulle opposizioni per 4 giudici (uno a FdI, uno alla Lega, uno a Forza Italia e uno alle minoranze). Prima di questa ipotetica mossa a pacchetto c’è uno scoglio: il 12 novembre proprio la Consulta si riunirà per esaminare le questioni di legittimità avanzate da cinque regioni sull’Autonomia differenziata, la legge che tanto sta cuore al vecchio Carroccio. Schlein dice: ora la maggioranza accetti il dialogo. Conte giura di non provato a fare strani giochi di prestigio, il centrodestra si trova davanti alla realtà. Alla maggioranza manca un uomo dei numeri, “l’onorevole pallottoliere”, qualcuno in grado di essere veloce di testa, e di telefono e di promesse, per far quadrare i conti che continuano a non tornare. Avete presente il Denis Verdini dei tempi d’oro?