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l'editoriale del direttore

Cosa ci dicono i nuovi dossieraggi (anche in banca) della macchina dello sputtanamento senza freni

Claudio Cerasa

La necessità di imporre una dittatura della trasparenza ha portato l’opinione pubblica a disinteressarsi della necessità di porre un freno al potere dello sputtanamento. È ora di dare più tutele ai controllati e più controlli ai controllori

Ci siamo occupati per anni di mettere sotto torchio la macchina della politica, dando ai controllori pieni poteri, dando alle procure la possibilità di curiosare nella vita degli altri, dando ai giornalisti la possibilità di spacciare per diritto di cronaca il diritto allo sputtanamento, dando per scontata la possibilità che ogni atto finalizzato a promuovere trasparenza fosse un atto di fronte al quale chiudere un occhio. Forse, arrivati al punto in cui ci troviamo oggi, dovremmo avere il coraggio di rivedere alcune priorità e, con urgenza, fare i conti con un tema cruciale che negli ultimi anni ha trovato poco spazio nel dibattito pubblico: occuparci non tanto dei controllati (la politica) quanto dei controllori (la macchina del fango). L’inchiesta avviata dalla procura di Bari nei confronti di un dipendente di Intesa Sanpaolo (licenziato ad agosto) che avrebbe effettuato la bellezza di settemila accessi abusivi nell’arco di due anni su molti conti correnti, a partire da quelli della premier Giorgia Meloni e di sua sorella Arianna, notizia riportata ieri da Domani, merita di essere presa sul serio per molte ragioni.

Ci si potrebbe chiedere se il fatto che nel giro di pochi mesi abbiamo scoperto che in realtà diverse l’una dall’altra persone con profili differenti raccoglievano in modo discrezionale informazioni sensibili su alcuni volti conosciuti ci debba far sospettare che esista un mercato nero dei dati riservati. Ci si potrebbe chiedere se il fatto che per due anni nessuno si sia accorto che un funzionario di una banca accedeva in modo discrezionale ai conti di alcuni correntisti non debba farci pensare che vi siano meccanismi all’interno del sistema bancario italiano da rivedere con urgenza, dalle singole banche alla stessa Bankitalia. Ci si potrebbe chiedere tutto questo ma forse occorrerebbe fare un passo in avanti e inquadrare un altro macrotema. Pensateci. Negli ultimi trent’anni, la necessità di imporre una dittatura della trasparenza ha portato l’opinione pubblica a disinteressarsi della necessità di porre un freno al potere dello sputtanamento dei controllori.

Logica chiara: se si parte dal presupposto che lo sputtanamento aumenta la trasparenza si fa tutto e di più per creare un sistema all’interno del quale viene meno ogni controllo sulle fonti di sputtanamento. E in questa chiave porre rigidi controlli alle attività mosse da coloro che possono monitorare la vita degli altri diventa tutto tranne che una priorità. Un giorno può succedere che vi sia un soggetto infedele all’interno dell’antimafia che rivendica il fatto di aver controllato la vita degli altri senza aver commesso alcun reato (vedi il caso Striano). Un giorno può succedere che vi sia un soggetto infedele all’interno di una banca che per  mesi ha avuto accesso alle vite degli altri (vedi il caso di Bari). Un giorno può succedere che vi sia un magistrato birichino che per portare acqua al mulino dei propri teoremi sceglie di aggirare le regole (vedi il caso Davigo e vedi il caso De Pasquale). Un giorno può succedere che vi sia un qualche giornalista birichino che sapendo di non rischiare nulla pubblica atti coperti dal segreto anche a costo di violare le vite degli altri (il fango quotidiano è all’ordine del giorno).

Il trasferimento dei pieni poteri alla macchina dello sputtanamento ha rafforzato la parte destruens (la macchina del fango), ha indebolito la parte costruens (la macchina della politica), ha creato un effetto machiavellico con cui solo oggi stiamo facendo i conti (i dossieraggi piccoli, medi, e grandi, dove tra l’altro la politica spiata esce meglio degli spioni) e ha generato un effetto su cui forse si dovrebbe riflettere: dopo aver passato anni a sostenere che l’emergenza democratica dell’Italia fosse la classe  politica, varrebbe la pena considerare oggi una emergenza democratica l’assenza di regole ferree e rigide verso  coloro che hanno in mano gli ingranaggi che alimentano la macchina dello sputtanamento. Dare più tutele ai controllati e più controlli ai controllori: se non ora, quando?
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.