Il racconto

Fuga da Fazzolari: i "mandarini", Caputi, Deodato, Marini, Loiero, sognano l'uscita da Palazzo Chigi

Carmelo Caruso

Marini e Deodato sognano la Corte, Loiero cercava la Ragioneria dello stato e il capo di gabinetto, Caputi, cerca un'autorità. Dominio incontrastato del sottosegretario caro a Meloni

Rimarrà il genio, Fazzolari, ma resterà solo Fazzolari. Palazzo Chigi vuole lasciare Palazzo Chigi. Vuole andarsene il segretario generale, Carlo Deodato, vuole andarsene il capo di gabinetto, Gaetano Caputi, il consigliere Francesco Marini, non ce l’ha fatta ma per una “talpa”, e ci riprova. Voleva lasciare il consigliere economico,  Loiero, ha lasciato lo sherpa G7, Ferrari. Naturalmente diranno che è falso, ma lo dirà sempre Fazzolari che si occupa di comunicazione, strategia, che chiama i direttori di quotidiani,  ministri, gli ad delle partecipate, della Rai. Alfredo Mantovano, da cattolico, la vive come una prova di fede. Le nomine che gestiva Caputi ora le gestisce Emilio Scalfarotto, che di Fazzolari è il capo della sua segreteria tecnica, la Notre-Dame de Chigi.

 

Sono passati due anni ed è ormai chiaro a tutti che Palazzo Chigi è il Campanile di Fazzolari, che le campane le suona lui e che Meloni, Esmeralda, davvero si è consegnata alla sua sapienza, al suo “me la vedo io”. Da due anni si scrive che Fazzolari è il più invasato di tutti ma solo per non riconoscere che è il migliore di loro. In due anni ha ridotto giuristi di chiara fama a lavapiatti, i direttori, quando telefona,  hanno la stessa soggezione e lo ascoltano come se a telefonare fosse Gianni Agnelli, dall’al di là. Le sue “veline” vengono adesso rimodulate con zelo, e grazia,  da giornalisti amanuensi, un suo mezzo sorriso vale un ruolo nei cda.

 

E’ un sottosegretario senza portafoglio, ma tiene il portafoglio di Giorgetti, e tiene sull’attenti Mantovano, che ha la delega alla sicurezza, ai servizi, ma non è un segreto che quelli veri, i segreti, li custodisce l’altro che non si perde nel rituale. Al Quirinale, a parlare con Zampetti, il segretario di Sergio Mattarella, va Mantovano, e Mantovano torna e dice, “serve il dialogo”, che è il sale sulla ferita di Fazzolari, l’uomo tragico del metodo Mishima, lo sbudellamento dell’opposizione, il “tagliamola corta”. Tagliamola corta.


Con il pretesto della grande occasione, del quando ci ricapita, ora o mai più, Francesco Saverio Marini, il filosofo  del premierato (che non si presentò il giorno in cui la riforma venne illustrata alla Camera: “Professore Marini? Professore?”) si è offerto per andare alla Corte Costituzionale. Meloni intende presto riprovare, intende riproporre il suo nome, ma solo perché ha già l’altro nome da far uscire dal campanile, quello di Carlo Deodato, il segretario generale di Palazzo Chigi. Se non c’è Marini sarà Deodato. Fuori un altro. Quando per stizza, la premier ha mandato via gli agenti dal suo piano, per impiegarli meglio, disse, sarebbe bastato chiamare Deodato ma con Meloni di segretaria ce n’è una, e basta e avanza. A che serve un segretario generale? E’ Patrizia Scurti e la nipote, Camilla, lavora con Fazzolari, come sua segretaria particolare. Il premierato è stato superato dal segretariato. Deodato è amico antico di Mantovano ma il primo a pensare che sia un bene avere Deodato alla Consulta è Fazzolari. E se fosse per Fazzolari sarebbe un altro bene avere Gaetano Caputi, il capo di gabinetto di Meloni, alla guida di un’autorità indipendente, magari Arera o al posto di Paolo Savona, in Consob, dato che Caputi viene dalla Consob, dunque chi “meglio di lui?”.

 

Deodato, come Caputi, è un giurista e da giuristi entrambi si limitano a esprimere pareri, si limitano al “posso fare qualcosa Giovanbattista?”. A Caputi è stato tolto il dossier nomine che è stato preso in carica da Emilio Scalfarotto, che è l’unico di cui si fida Fazzolari. In due anni sono stati degradati a consiglieri, che è la miserabilità, del “ci sei, grazie, ma fai come dico io”. E attenzione, è accaduto senza maltrattamenti, sofferenze, come quando al lavoro il vostro capo dà la parola per primo sempre al solito, al suo soldato, e la bestialità più grande, se pronunciata da lui, è “bellissima”. L’unico consigliere economico di Meloni è Renato Loiero, dicono eccellente, ed è un altro che si sa già, “appena potrà, andrà via”. Forza Italia e Lega il giorno del seppuku, della Consulta, il fallimento del metodo Mishima, si mordevano la lingua: “E’ stato Fazzolari. E’ opera sua questo fallimento”. Solo il vice della Lega, Claudio Durigon ha avuto il coraggio di dire, ma a mezza voce, “ma che modo è? Ci si siede con l’opposizione, si fa notte e poi si trova un nome. Quanto n’amo fatte de cose insieme. Uno a te e uno a me. E se va’ a dormire. Nun va bene”.

 

Meloni è piena di ministri narcisi, di ministri da albergo (Locarno o De Russie? E il conto?) e poi c’è Fazzolari sul campanile. Sono passati due anni e Fazzolari  è indubbiamente più forte di prima, più ascoltato di prima, con meno rivali di prima. A Palazzo Chigi de Paris difende Meloni Esmeralda dalle frecce. Svuoterà il Palazzo dalla Corte dei miracoli, scaglierà al suolo gli arcidiaconi che vogliono rapire la bella. Non è il più invasato di tutti, è solo il più puro.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio