Le riforme del Mef
La mossa di Giorgetti: una riforma per dire "mai più" ai Superbonus
Nel Piano strutturale di bilancio, il Mef riconosce il fallimento dell'esperienza dei bonus edilizi e con il riordino delle tax expenditure propone un cambiamento strutturale: le agevolazioni devono avere sempre monitoraggio e tetti di spesa
Quando accade una catastrofe il primo commento che generalmente si fa è: “Mai più”. Lo stesso dice il governo nel Piano strutturale di Bilancio sul Superbonus, seppure senza nominare la sciagura e attraverso una formula più articolata.
Le due caratteristiche principali dell’agevolazione fiscale per la riqualificazione energetica e sismica degli immobili erano un’aliquota al 110 per cento – quindi superiore ai costi effettivi – e la cessione illimitata del corrispondente credito fiscale. Due caratteristiche che hanno gonfiato la spesa con effetti devastanti sulla finanza pubblica. Eppure, questi due elementi da soli non erano sufficienti a produrre un buco di bilancio da 150 miliardi (lo scostamento tra preventivo e consuntivo), se non ci fossero stati altri due gravi errori tecnici nel disegno della misura. E di questo si preoccupa ora il ministro dell’Economia.
Nel Piano Strutturale di Bilancio (Psb), il documento di finanza pubblica con un’ottica di medio termine in attuazione delle nuove regole fiscali europee, c’è una sezione sulle Riforme strutturali per “promuovere la crescita economica e la sostenibilità della finanza pubblica”. Tra le riforme previste, il governo include l’attuazione della delega di riforma fiscale e, sempre in ambito fiscale, il riordino delle cosiddette tax expenditures.
In questo ambito, il documento del Mef presentato dal ministro Giancarlo Giorgetti parla della necessità di definire “un sistema di agevolazioni fiscali basato sui princìpi di programmazione, selettività e monitoraggio ex ante, nel rispetto degli equilibri di bilancio di finanza pubblica”. Inoltre, aggiunge sempre il Psb, “il sistema di agevolazioni fiscali sarà incentrato sull’autorizzazione preventiva e sul monitoraggio ex ante da parte dell’Amministrazione sulla base di criteri oggettivi, mediante la creazione di piattaforme dedicate e la definizione di tetti di spesa, aspetti di rilievo per verificare in anticipo la sostenibilità finanziaria delle misure di agevolazione”.
La formula è contorta, ma in sostanza è il riconoscimento da parte del Mef del fallimento totale dell’esperienza del Superbonus e della necessità di una riforma interna che non consenta che accada di nuovo. Mai più. Il Superbonus, oltre ai due difetti genetici che tendevano a gonfiare la spesa, ne aveva altri due che ne impedivano il controllo: la mancanza di un monitoraggio della spesa e l’assenza di un tetto alla spesa.
A differenza di ciò che normalmente accade per altri bonus, non era previsto infatti né un meccanismo di autorizzazione preventiva da parte dell’amministrazione pubblica per accedere al beneficio fiscale né una chiave d’arresto che avrebbe bloccato il flusso di spesa una volta terminati gli stanziamenti. Semplicemente, era sufficiente che i proprietari di casa e le imprese costruttrici si mettessero d’accordo e presentassero il conto, anche a distanza di diversi mesi: Pantalone avrebbe pagato a piè di lista. Questo ha impedito di rendersi conto di quello che stava accadendo, in quanto la spesa appariva nei dati del Mef e dell’Agenzia delle entrate solo con molti mesi di ritardo e senza alcun vincolo. Ciò ha provocato un buco di bilancio di circa 150 miliardi di euro, pari alla differenza tra la spesa effettiva e gli stanziamenti previsti.
Il fallimento di un sistema del genere, che è tecnico prima che politico, in una condivisione di responsabilità tra Mef e Ragioneria generale dello stato, era stato implicitamente riconosciuto lo scorso 16 aprile in un’audizione del dg del dipartimento delle Finanze Giovanni Spalletta: “È fuori di dubbio che misure agevolative automatiche e senza preventiva autorizzazione non sono più compatibili con il nuovo quadro di finanza pubblica a seguito delle nuove regole di governance economica europea”, disse il dirigente del Mef. Parole che rievocavano quelle pronunciate un anno prima, sempre in audizione, dall’ex Ragioniere dello stato Biagio Mazzotta: “In prospettiva, dotarsi di modelli di valutazione d’impatto ex ante è fondamentale”.
l messaggio era tanto banale quanto terrificante: il nuovo Patto di stabilità non consentirà più, da un lato per i vincoli sul deficit e dall’altro per la nuova regola della spesa, l’esistenza di bonus del genere. In realtà, fare stime accurate della spesa ed evitare buchi di bilancio non è una stranezza delle nuove regole fiscali europee, ma un vincolo della nostra Costituzione, che se ne occupa all’art. 81. Eppure, non c’era neppure bisogno di vedere all’opera il mostro del Superbonus per sapere che i crediti d’imposta sono pericolosissimi per le finanze pubbliche. Ci sono molti precedenti.
La legge Finanziaria per l’anno 2001 aveva introdotto un credito d’imposta automatico per gli investimenti nel Mezzogiorno: sebbene fosse molto meno generoso del Superbonus (massimo 50 per cento), ben presto emerse che un tax credit automatico era difficile da monitorare e più costoso del previsto. Vennero introdotti, poco dopo, i correttivi: autorizzazione preventiva e tetto alla spesa (che nel 2003 arrivò a 1,7 miliardi di euro). Due criteri poi utilizzati per quasi tutti gli altri bonus negli anni successivi. Tranne che per il Superbonus, che assieme alle altre agevolazioni edilizie è costato 220 miliardi di euro in un triennio.
Ora tra le “riforme”, il Mef introduce per le spese fiscali i meccanismi di “autorizzazione preventiva e monitoraggio ex ante” e la “definizione di tetti di spesa”, per garantire gli “equilibri di bilancio di finanza pubblica”. La lezione del Superbonus, costata 100 volte in più di quella di inizio Duemila, è servita a ricordare all’Amministrazione pubblica una cosa che già sapeva. Ora l’obiettivo dovrebbe essere non dimenticarla.