Il protagonista

Mazzi, il "Ministretto". Ha nuove deleghe, spadroneggia al Mic ma fa infuriariare i Teatri Stabili

Carmelo Caruso

Dopo la tentata riforma sulle Fondazioni lirico-sinfoniche, prova ora a mettere un tetto alle produzioni dei Teatri Stabili che protestano con una lettera al ministro Giuli (che gli ha dato altre deleghe)

Si sono spartiti i ruoli, pensiero e prassi: il ministro della Cultura, Giuli, si occupa di infosfera, il sottosegretario Mazzi sfascia, alla Heidegger, zerstörung, i teatri stabili. Si guarda alla nomina di Francesco Spano, nuovo capo di gabinetto di Giuli, ma è Mazzi il terrore dell’artista. Si è fatto assegnare, ed è la novità, le deleghe per le Fondazioni lirico-sinfoniche, intende, con decreto, tagliare le produzioni interne dei teatri. Vuole farlo da subito, pasticciando con le bozze. I sette teatri stabili chiedono adesso,  al ministro, in una lettera del 7 ottobre, chiarimenti “urgenti” e desiderano conoscere la bozza del decreto, un decreto che farebbe saltare “impegni pianificati”, con gravi “conseguenze contrattuali”. E’ l’egemonia di Mazzi, il “Ministretto” della Cultura.


Mentre Giuli filosofeggia, apocalittismo difensivo, mentre Giuli apre le porte del Mic ai carabinieri che, ieri, hanno acquisito documenti relativi alla vicenda Sangiuliano-Boccia, l’altro, Mazzi, il sottosegretario, gorgheggia e domina. Giuli ha nominato Spano, ex segretario generale del Maxxi (dove era chiamato “Sir Biss”, come il consigliere del principe Giovanni, in ‘Robin Hood’) capo di gabinetto, lo ha nominato malgrado le resistenze e la furia, “infame”, che in passato la destra ha riservato a Spano, ex presidente di Unar. Giuli prende le misure ma, nell’attesa, il ministero è governato da Mazzi, il “Ministretto”, il sottosegretario di FdI, che è possibile ammirare alla Camera (ed è accaduto) insolentire al telefono imprecisati interlocutori, sentirgli dire: “Si fa come dico io! Ci sono in ballo un sacco di soldi. Lo volete capire?”. Appena Giuli si è insediato, Mazzi è riuscito a strappare le deleghe che Sangiuliano non gli aveva mai consegnato, ufficialmente, le deleghe per le Fondazioni lirico-sinfoniche. Mazzi è l’ex direttore artistico dell’Arena di Verona, ed è stato ad della società Arena di Verona. Quando le opposizioni hanno chiesto a Sangiuliano spiegazioni sul possibile conflitto d’interessi di Mazzi, a rispondere è stato lo stesso Mazzi. A Verona, il “Ministretto” ha lasciato il maniero ma c’è chi continua per lui. Per imporre la sua sovrintendente di fiducia, Cecilia Gasdia, per proseguire felicemente la collaborazione, Mazzi ha mosso guerra al sindaco del Pd, Damiano Tommasi, ed è una guerra che è finita in tribunale. Il grande disegno di Mazzi è nominare i sovrintendenti d’Italia (il prossimo anno scadono in massa) e per farlo, ad agosto, ha provato a ridimensionare il potere dei sindaci. Detta come piace a Mazzi: i soldi li mettono comuni e regioni, ma i sovrintendenti li indica lui, il Romeo e Giulietto dell’Arena. E’ finita, il 6 ottobre, con la marcia indietro del “Ministretto”, perché questa volta era la volta buona che i sindaci d’Italia lo gettavano giù dal palco del Mic. A luglio, al ministero, ha organizzato quattro giorni dedicati al nuovo codice dello spettacolo che non è mai entrato in vigore: lo ha presentato con tanto di fasto (“100 artisti e 700 operatori ascoltati”, tra cui Giorgio Panariello, Luca Barbareschi, Claudia Gerini, insieme a Nicola Piovani e Gabriele Lavia), ma non è riuscito a promulgarlo. Dato che non ce l’ha fatta con la lirica si butta  sulla prosa. Il governo deve approvare i decreti attuativi, decreti che rendono operativa la legge delega sullo spettacolo dal vivo e Mazzi comandicchia. La premessa è che lo spettacolo dal vivo va che è una meraviglia. Aumentano gli abbonamenti, i teatri, dopo il Covid, stanno vivendo la loro rinascita, ma Mazzi vuole intervenire per mettere freno a quello che ritiene il potere dei direttori dei Teatri Stabili. Vuole togliere ai direttori la possibilità di decidere cosa allestire perché come al solito lui e la destra Mishima, la destra dello sbudellamento della sinistra, lottano contro “l’egemonia”. Fosse per Mazzi ci farebbe vedere, per l’intera stagione, Enrico Brignano e Giletti (Mazzi è stato agente di Giletti). La sua idea è: facciano i privati e poi lo Stabile compra gli spettacoli dai privati. Per farlo vuole mettere un tetto alle loro produzioni; non più di due spettacoli a stagione. Ovviamente le riforme si possono fare, ci mancherebbe, e i primi a dirlo, in una lettera della Fondazione Platea del 7 ottobre (la fondazione che rappresenta i sette teatri nazionali e i 17 teatri di rilevante interesse culturale) sono gli stessi direttori. Sarebbe solo  buon senso prevedere un tempo di entrata a regime, invitare le parti a discuterne. Con Mazzi invece si pensa e si fa, da “Ministretto”. I teatri vengono a sapere di questa sua idea di riforma, della bozza che circola, e vengono anche a sapere che la riforma parte da quest’anno. Dice Matteo Orfini, del Pd, che  “significa mettere fuorilegge le stagioni previste, già vendute, e mettere in crisi un settore sano”. Il paradosso è che è così grossa, ma tanto grossa, che perfino Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura di FdI, si accorge che questo modo di procedere rischia di far collassare i Teatri Stabili. Cosa si fa? Si restituiscono i soldi agli abbonati? Il ministro Giuli è probabile che sia troppo preso dal cercare la “marmellata” dell’ex capo gabinetto Giglioli, l’infedele, il funzionario preso “con le mani nella marmellata”. Mentre lui è in dispensa, Mazzi indurisce gli operatori di un settore, prepara la confettura indigesta. A Giuli piace fare il pensatore, ma se il suo sottosegretario fa male, la colpa cade a chi non ha pensato che Mazzi non è Heidegger, ma solo pane, burro e Ministretto. (c.car)

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio