Confini e migranti
Il metodo usato dall'Italia con l'Albania, sui migranti, è tutto tranne che uno scandalo
I difetti ci sono, ma c’è una ragione per cui anche alcuni leader di sinistra, in Europa, si stanno appassionando al metodo italiano sull’Albania: senza gestire i confini esterni, l’Europa finisce ko. Cortocircuiti e miti da sfatare
La domanda in fondo è semplice e riguarda il famoso piano elaborato dal governo italiano per esternalizzare in Albania uno degli ingranaggi che riguardano la gestione del flusso dei migranti. Domanda semplice: ma oltre alla propaganda c’è qualcosa di più? Questa mattina, come forse già sapete, arriveranno in Albania i primi migranti intercettati dalla Marina militare italiana in acque internazionali. L’accordo tra il governo italiano e quello albanese prevede i seguenti punti. L’Albania ha dato all’Italia il permesso di realizzare due strutture dedicate alla gestione dei flussi dei migranti.
La prima struttura si trova a Shengjin, a 66 km a nord di Tirana, mentre la seconda struttura si trova a Gjadër, 21 km più a nord (in entrambe le strutture vige la giurisdizione italiana e sono le forze di polizia italiane che devono garantirne l’ordine). La prima struttura è un centro per il trattenimento di richiedenti asilo e ha 880 posti. La seconda struttura è un Cpr (un centro di permanenza per i rimpatri) e ha 144 posti. I migranti che la Marina militare può portare qui sono solo ed esclusivamente quelli intercettati e salvati in acque internazionali e sono solo ed esclusivamente maschi, adulti, non vulnerabili, provenienti da paesi inseriti nella lista dei cosiddetti paesi sicuri (il primo screening dei migranti viene fatto a bordo della nave della Marina che porta i migranti dalle acque internazionali all’Albania). Una volta arrivati in Albania, i migranti arrivano al primo hotspot. Entro 28 giorni occorre analizzare, come succede in Italia, le pratiche di chi ha diritto a richiedere l’asilo e chi no. Chi ne ha diritto, viene trasferito in Italia. Chi non ne ha diritto, viene spostato nel Cpr. Chi può essere rimpatriato viene rimpatriato direttamente dall’Albania. Chi non può essere rimpatriato viene portato nel Cpr albanese. Nei Cpr il tempo massimo di permanenza è di diciotto mesi. Una volta trascorsi i diciotto mesi, i migranti ricevono il foglio di via e vengono portati in Italia. Una volta arrivati in Italia, come tutti i migranti con foglio di via, hanno quindici giorni per lasciare il paese (nel caso in cui un migrante venga scoperto ancora in Italia nonostante il foglio di via le Forze dell’ordine gli consegnano un altro foglio di via). Capienza circa 10.500 migranti all’anno. Costo dell’operazione: circa 635 milioni di euro in cinque anni. Una volta fatti i conti con le coordinate dell’operazione si può provare a rispondere alla domanda di cui sopra, aggiungendo qualche elemento di riflessione in più: oltre alla propaganda c’è qualcosa di più? L’operazione albanese porta al governo almeno cinque vantaggi. Un primo vantaggio è di carattere retorico e non c’è dubbio che la creazione a caro prezzo della bolla albanese possa consentire alla presidente del Consiglio di rivolgersi ai propri elettori e non solo a quelli con lo sguardo di chi finalmente può dire di aver trovato una via di mezzo tra la follia salviniana dei porti chiusi, la scellerata strategia del blocco navale e l’utopia europea della solidarietà sui migranti. Il secondo vantaggio è di carattere politico, per così dire, e riguarda una certa percezione che assume l’Italia, che nell’immaginario esterno diventa un paese che sceglie una via nuova, per qualcuno creativa per altri disumana, per poter dimostrare di voler proteggere i confini dell’Europa. Il terzo vantaggio è di carattere, anche qui, comunicativo, anche se la tesi del governo è tutta da dimostrare: inserire un altro elemento nell’ingranaggio della macchina che gestisce l’immigrazione, tu migrante diretto in Italia sai che prima di mettere piede lì dovrai mettere piede nella bolla italiana in Albania, potrebbe essere un modo per disincentivare le partenze. Il quarto vantaggio è di natura pratica e riguarda i numeri. Se davvero la capienza dei centri albanesi è quella annunciata dal governo, ovvero 10.500 posti all’anno, si può dire che in Albania potrebbe finire una fetta importante dei migranti che sbarcano ogni anno in Italia (nel 2021, gli sbarchi sono stati 67.477, nel 2022 sono stati 105.131, nel 2023 sono stati 157.652, nel 2024 dovrebbero essere un terzo del 2023). Il quinto vantaggio invece è, per così dire, di natura tecnica e ciò che cambia davvero per l’Italia nella esternalizzazione dei centri per i migranti è il fatto che i migranti che si trovano nel Cpr, nel centro di permanenza per i rimpatri, i migranti che dunque non dovrebbero stare in Italia e che dovrebbero essere rimpatriati, per 18 mesi piuttosto che stare chiusi in un Cpr in Italia, vicino a qualche comune che potrebbe soffrire l’affollamento in un Cpr, staranno in un Cpr in Albania, sotto la giurisdizione italiana ma lontana dagli elettori.
I soldi potevano essere, come sempre, come per tutto, utilizzati in modo diverso, ma lo scandalo albanese è uno scandalo che non c’è ed è uno scandalo così poco scandaloso da aver incuriosito in modo scandaloso molti leader europei, e non solo a destra. Ieri Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, nella lettera inviata ai leader dell’Unione europea in vista del Consiglio europeo del 17-18 ottobre, ha utilizzato parole soft sul tema del modello Albania: “Dovremmo anche continuare a esplorare possibili strade da percorrere riguardo all’idea di sviluppare centri di rimpatrio al di fuori dell’Ue, soprattutto in vista di una nuova proposta legislativa sui rimpatri. Con l’avvio delle operazioni previste dal protocollo Italia-Albania, saremo anche in grado di trarre lezioni pratiche”. Il Pse, ieri, ha scelto di venire incontro alla posizione del Pd, molto critico con Meloni per la scelta dell’esternalizzazione in Albania, ma nel farlo ha comunque dato uno schiaffetto al Pd. La capogruppo dei socialisti e democratici Iratxe García Pérez, spagnola, ha detto che “i Socialisti e Democratici sono contrari alla creazione di hub di rimpatrio e a qualsiasi forma di esternalizzazione della politica di asilo”. Ma poi ha aggiunto: “Per decenni, abbiamo chiesto un approccio olistico alle sfide migratorie e dopo otto anni di negoziati, finalmente, lo scorso maggio è stato adottato il Nuovo patto sull’asilo e la migrazione”. Problema: il Pd ha votato contro questo patto, che il Pse dice di essere quello giusto su cui misurare le ambizioni dell’Europa, mentre ad aver votato sì, in Italia, sono scandalosamente i nemici del Pse, ovvero Fratelli d’Italia e Forza Italia. A proposito di scandali, poi, se ci si guarda in giro per l’Europa si scoprirà facilmente che le sinistre che si trovano al governo hanno spesso sull’immigrazione un approccio molto diverso dalle sinistre, come quella italiana, che si trovano all’opposizione. Keir Starmer, leader laburista inglese, ha detto a Giorgia Meloni che le esternalizzazioni modello Albania meritano di essere studiate. “Starmer è molto interessato al nostro accordo con Tirana ed entrambi vogliamo che Interpol ed Europol si concentrino sulla lotta ai trafficanti di uomini”, ha detto Meloni un mese fa, dopo aver ricevuto il primo ministro inglese a Palazzo Chigi (Meloni per giovedì sta organizzando un incontro con Olanda, Danimarca, Polonia e forse anche Germania sui temi dell’immgrazione). Lo stesso ha fatto il cancelliere tedesco Olaf Scholz, socialdemocratico, progressista, con cui che già alla fine dello scorso anno, poche ore dopo l’annuncio da parte del governo dell’accordo con l’Albania, ha utilizzato parole simili: “C’è la migrazione irregolare che deve essere ridotta e ci sarà una stretta collaborazione con i paesi al di fuori dell’Unione europea, come avviene ora, ad esempio con la Turchia, e potrebbero essercene altri”. Ci si chiederà perché mai molti paesi europei osservano con curiosità e interesse il modello italiano? Da una parte c’è una questione anche qui tecnica spiegata mesi fa da Sabino Cassese sul nostro giornale: “La finalità del modello albanese mi pare quella di potenziamento della capacità amministrativa, e principalmente di evitare movimenti secondari, ciò che farà felici i paesi che sono destinatari dei movimenti secondari, in particolare Germania e Francia. Da questo punto di vista, mi sembra un accordo utile”. Dall’altra parte c’è invece un tema di carattere politico: se vuoi salvare i confini interni dell’Europa ed evitare che siano gli Orbán a dettare l’agenda sull’immigrazione devi trovare un modo non solo per redistribuire i migranti che arrivano (Patto sull’asilo e migrazione) ma anche per provare a governare i confini esterni dell’Europa (non basta essere dalla parte dei poveri migranti che cercano fortuna in Europa per avere una politica migratoria e di sicurezza). Si può sostenere naturalmente che tutto ciò che verrà fatto in Albania si sarebbe potuto fare anche in Italia, specie ora che i numeri che riguardano l’immigrazione sono contenuti rispetto ai mesi passati, e si potrebbe dire che l’immigrazione per l’Italia resta tutto tranne che un’emergenza – rispetto alle richieste d’asilo, i principali paesi europei di destinazione nel 2023 sono stati Germania (31,4 per cento), Spagna (15,3), Francia (13,8) e Italia (12,4), quasi 131 mila richiedenti per la prima volta. Ma la ragione per cui tra i leader che osservano l’esternalizzazione modello Albania vi sono leader tanto di destra che di sinistra in fondo è semplice e ci permette di rispondere alla domanda da cui siamo partiti: oltre alla propaganda, forse, c’è qualcosa di più, e lo scandalo di volere tentare tutte per governare l’immigrazione lo si può denunciare quando ci si trova comodamente all’opposizione ma non quando ci si trova meno comodamente al governo.