Ansa

il nannimorettismo della premier

Meloni snobba il Festival delle regioni a Bari e manda un messaggio ai governatori

Gabriele De Campis

La premier non ha confermato la presenza, suscitando il disappunto di Fedriga. Freddo tra Palazzo Chigi e la conferenza delle Regioni, dopo le richieste bipartisan dei presidenti che vogliono maggiori risorse sulla Sanità. L’emiro Emiliano intanto si scopre moroteo per accelerare l’erogazione dei Fondi di coesione

Ci sono casi in cui contano più le assenze che le presenze, ovvero generando la sublimazione del cult cinematografico: “mi si nota di più se vengo o non vengo”. Al Festival delle Regioni, che inizierà domenica a Bari, ci sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella mentre non ha confermato la partecipazione la premier Giorgia Meloni. Con l’agenda di Palazzo Chigi piena di impegni o viaggi internazionali (l’ultimo è il viaggio in Libano venerdì), l’assenza nella rassegna in programma in Puglia potrebbe non far rumore, ma il presidente della Conferenza delle Regioni, il governatore Massimiliano Fedriga, con il suo vice, l’emiro Michele Emiliano, avevano già elogiato il profilo istituzionale dell’evento preannunciando che le conclusioni sarebbero state appannaggio della premier.

Il nannimorettismo di Giorgia, però, ha anche una possibile chiave interpretativa tutta politica, ovvero un segnale inatteso di raffreddamento nelle relazioni con le Regioni (ben 15 sono a guida centrodestra). Il casus belli? Una richiesta bipartisan giunta al governo dalle Regioni, per auspicare un incremento delle risorse per la sanità, proprio mentre i conti della Manovra al Mef sembrano tornare solo con molta fatica e sacrifici. Nei giorni scorsi, secondo la ricostruzione sussurrata da qualcuno vicino all’organizzazione, Fedriga avrebbe ricevuto una vera doccia fredda con la comunicazione dell’assenza della leader e avrebbe condiviso il disappunto (e la malcelata sorpresa) con lo sceicco barese, che in questa fase, però, ha seppellito l’ascia di guerra.

Emiliano, da un po’, non evoca più “la Puglia come Stalingrado” e ha indossato i panni (stretti) del moroteo nel dialogo con il governo. L’emiro non si è certo convertito sulla via di Colle Oppio, ma sta provando a mediare per portare a casa i miliardi dei Fondi di coesione e sviluppo, congelati nei mesi scorsi dalle procedure centraliste imposte dal ministro meloniano Raffaele Fitto: era convinto che il 22 avrebbe accolto trionfalmente la premier al Festival, per chiudere subito dopo la pratica Fsc.  La Puglia, infatti, è rimasta, insieme alla Sardegna, nella delicata situazione di non aver ancora firmato il patto con il governo per l’erogazione di questi fondi (le riserve della destra sull’uso di questa “dote” sono state sostanziate da una distribuzione a manica larga che avrebbe anche “innervato”  il clientelismo emilianesco).

“Le interlocuzioni tra Roma e la Puglia non sono completate”, dicono dalla Capitale, mentre Emiliano - intervenendo nei giorni scorsi a una assemblea di Confindustria nel Teatro Petruzzelli di Bari -  aveva fatto capire che
la pratica fosse conclusa: "Da due anni sono in gioco 4,6 miliardi di fondi Fsc e 2 miliardi del Poc, il ministro Fitto sta facendo il possibile per accelerare, si avvicina la data del 22 ottobre quando firmeremo l’accordo, ma non sappiamo ancora cosa contiene questo contratto da 6 miliardi. Tutto questo è un freno…”. Ora, intervenendo nel corso di una manifestazione alla Fiera del Levante, è tornato a indossare i panni del mediatore: “C'è tanta gente in attesa del Patto per la Puglia. Sono tante le cose che sono ferme da due anni e adesso speriamo che, superate tutte le emergenze di  governo, si possa arrivare alla firma". Che ci sarà, ma
verosimilmente dopo lo snodo del via libera europeo alla nomina di Fitto. Nel triangolo tra Palazzo Chigi-Regioni-Ue (ovvero le dinamiche che riguardano le delicate audizioni del politico di Maglie) si gioca la partita, tutta da decifrare, del governo con i territori, a cui si dovranno dare risposte coerenti con il perimetro del Patto di stabilità.

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