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sbraco e miserie

La "pupiata" di Salvini. Sogna la condanna, fa sfilare i ministri a Palermo e attacca le toghe

Carmelo Caruso

Ci sono Giorgetti, Valditara e Calderoli. La Lega si scatena contro la magistratura per il caso Open Arms. Centinaio, vicepresidente del Senato, quasi si vergogna: “Io non attaccherò mai un pm. Hanno la mia solidarietà”. Il leader del Carroccio si prepara al congresso da wanted

E’ l’unico imputato che desidera la galera e il cesso alla turca. Non fatevi prendere in giro. Salvini teme l’assoluzione più della condanna, la libertà da leader decaduto più della cella fredda e fetente. Cerca sei anni di carcere, qui, a Palermo, a piazza Politeama, la città delle stragi, la città che ha ignobilmente ridotto in un bivaccone, in un manipolo di trolley e magliette da carnevale. Il reato che gli andrebbe contestato non è il sequestro della nave Open Arms, prescritto dalla storia, ma vilipendio di memoria civile, delegittimazione di toghe al fronte.

 

La Lega che ha studiato, e che ricorda la città dell’omicidio Mattarella, del tritolo sotto l’asfalto, la Palermo di Brusca, “’u verru”, non chiama le toghe “comuniste”. Almeno, non le chiama qui. Un partito di governo non lascia dire, a Salvini, a Palermo, città santa, di pianto, che i giudici che non convalidano un’ordinanza di trattenimento, degli immigrati in Albania, è meglio che “si candidino alle elezioni”; “non ho paura dei giudici di sinistra che vogliono smontare le leggi dello stato”. Gian Marco Centinaio, vicepresidente del Senato, quasi se ne vergogna, e dice al Foglio: “Io non attaccherò mai un pm”. Anche i pm di Palermo che mandano a processo Salvini e che stanno ricevendo minacce? “Soprattutto loro. Hanno la mia solidarietà. So cosa significa vivere sotto scorta. Lo sono anche io. Un giorno mi sono svegliato e ho trovato un bossolo di kalashnikov. Era una busta bianca. Pensavo fossero le spese condominiali”. A piazza Politeama, la Lega organizza una manifestazione fanfaronata, in Sicilia si dice “una pupiata”, con Salvini capo pupo, distaccato, in aula bunker insieme a Giulia Bongiorno, l’avvocata, che alla Vittorio Gassman, teatrale, urla: “Carlitos sapeva, Carlitos!” e “la nave bighellonava”; “l’Italia si è messa in ginocchio delle ong”. Ci sono più giornalisti che militanti, più parlamentari che passanti e c’è il solito ambulante che da vent’anni, in via Principe di Belmonte, vende accendini di contrabbando. Per Salvini, Palermo è solo il suo processo ed è contento di tornarci il 20 dicembre per la sentenza di primo grado. Non fatevi prendere in giro. Desidera sei anni di galera, una condanna, la dose booster in vista del congresso nazionale che vuole convocare a febbraio, candidato unico con il camicione a righe. E’ sedotto dall’idea di essere “wanted” perché come dice Aldo Patriciello, l’europarlamentare della Lega che vale centomila preferenze, uno che davvero è libero, altro che Vannacci, “in politica, il vittimismo fa salire i sondaggi. Sveglia l’elettorato. Un Salvini condannato ha una forza superiore a un Salvini assolto”.

Si parla sotto il suono del martello pneumatico, tra fetori, fogne a cielo aperto, accanto a un pensionato strafatto di televisione, di destra, che si azzuffa con il pensionato di sinistra, “italiani pecoroni, Salvini fici u suo”, e l’altro, rosso come un pomodoro, che replica: “Le vite umaaane si salvano. Io sono qui per fare dibbbattito”. Sono stralci di grottesco, corti di Ciprì e Maresco, i registi che hanno raccontato miserabilità e genio palermitani, la Sicilia zimbello del mondo, che vive la desertificazione, la Sicilia assalita dalle troupe di Giletti, l’Arbasino di Rai 3, che si fa dirigere da Rai Cultura. Attenzione, non è la siccità, ma la desertificazione. A Catania, il fiume Simeto non arriva alla foce perché gli agricoltori si rubano l’acqua e Salvini fa la “pupiata” con precettazione di suoi ferrotranvieri ministri. Volano da Roma, Valditara, Calderoli, il vice dell’Interno Nicola Molteni, uno che in un giorno solo fa carne di porco della sua straordinaria carriera: “La stagione di Salvini al governo, il Salvini che fermava gli immigrati, è stata bellissima. Irripetibile”. Che ci fa un viceministro dell’Interno, qui? Manifestare solidarietà, come se i magistrati fossero hezbollah, può andare bene per Anna Maria Cisint, europarlamentare della Lega, per il vicesegretario Andrea Crippa, che in diretta tv parla di “una magistratura di sinistra”. Loro non hanno responsabilità di governo, ma lui? E passi anche per Claudio Durigon, altro vicesegretario, che è abile e che ci tiene ad aggiustare: “La colpa del processo di Salvini non è dei pm ma di Giuseppe Conte”.

 

Valditara che si vanta con lo studente (“io sono il primo ministro che gira le scuole italiane”) è imbarazzante peggio dei suoi pensieri. E’ vero che gira l’Italia, ma gira per ripetere ai cronisti che i suoi tweet sono stati bollinati nientemeno che dall’Accademia della Crusca. Vanesio. Vannacci, che non è presente, furbo, di questo passo, andrebbe nominato emerito alla Normale di Pisa. E che dire dell’altro? Giancarlo Giorgetti, presente, viene custodito in albergo come il “divo” perché deve presentarsi per ultimo, come le star del Festival del cinema di Roma, perché così ha previsto la sceneggiatura della Lega. E, per carità, non scrivete che è arrivato per ultimo, come ha scritto il Foglio sul web, perché Giorgetti, questa è la rettifica, “non vuole essere protagonista. E’ arrivato insieme a tutti i leghisti. Il ministro ritiene scontato doverci essere, manifestare solidarietà a Salvini. Il resto è malafede”. Si allumaca in un ristorante di porn food, dopo averci comunicato, sbuffando, che “è meglio stare qui che occuparsi di manovra”, e che si trova qui, a manifestare “perché stavo al governo con Salvini, sono qui perché sono della Lega”. Se solo non fosse tenuto a freno da chi gli impedisce di distribuire queste frasi alla Catalano, il filosofo di “Quelli della notte” di Renzo Arbore, ci regalerebbe altre gemme tipo: “Meglio una gallina oggi che un uovo domani”. Si autoconfina per un’ora, “perché il ministro deve chiudere la manovra”, e poi si fa inseguire da Marco Billeci, di Fanpage, per dire che lui le ha suonate alle banche: “Chiedete a loro se sono felici”.

A cosa serviva? Si sono inventati una “pupiata” e non sanno neppure che la Procura di Palermo ha oggi delle toghe misurate, silenziose, e non più gli spericolati che, a strascico, intercettavano il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sono toghe che, fino a ieri, erano ben disposte nei confronti di Salvini. Il procuratore capo è Maurizio De Lucia e sta facendo così bene che quasi nessun italiano lo conosce. Lavora e tace. Guida una procura di magistrati che preferirebbe non avere scorta, che non ha fatto fortuna con i convegni, i libri, le interviste bombarole. Non c’è nessun comunista ma solo dei pm che, da domani, dovranno smistare anche le minacce degli invasati di Salvini. Cosa accadrà, se dovessero condannarlo? Li andrà a prendere Vannacci con il tanko? La vera condanna è assolverlo.

 

Carmelo Caruso

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio