Il retroscena

Rampelli e la pace con le sorelle Meloni: così il vecchio zio di FdI non borbotta più

Simone Canettieri

Dopo due anni ai margini e quasi all'opposizione interna, il "maestro" della premier torna ad avere un ruolo centrale. I segnali di un patto che porta al Campidoglio o forse, difficile, al governo

Piccoli indizi: è andato in Croazia, a Dubrovnik, per il convegno di Ecr con la delegazione di Fratelli d’Italia. E’ stato fra i primi, se non l’unico, nel giorno del varo della finanziaria in Consiglio dei ministri a suonarle alle banche. Difende la manovra con  il coltello fra i denti, parla di vittoria del merito sulla sanità, attacca le opposizioni sulla decisioni dei giudici rispetto al centro di accoglienza per migranti in Albania, agita mandanti dietro ai dossieraggi. Insomma, ultimamente – ma forse sono superficiali suggestioni – Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e busto di Fratelli d’Italia piazzato al Pincio dalle sorelle Arianna e Giorgia Meloni, sembra essere ritornato sul pezzo. In linea con i vertici del partito. Chi lo conosce da una vita aggiunge: “E’ più sereno”. Sarà. 


Poi si scava e si scopre pure che in vista degli imminenti congressi del partito, che quasi un anno fa lo portarono quasi a una rottura clamorosa recuperata in zona Cesarini,  sembra esserci un accordo per i responsabili dei municipi di Roma. Nessuna candidatura alternativa rampelliana. Insomma, sembra venir meno almeno nel racconto politico parlamentare il ruolo dello “zio Fabio”, il borbottone messo da parte ma mai domo, dopo aver creato, soprattutto nella capitale, lo zoccolo duro di Fratelli d’Italia (e qui ci vorrebbe la solita epica sulla Colle Oppio, la sezione dove tutto ebbe inizio). Qualcosa sembra muoversi negli equilibri interni di FdI. Sono piccoli segnali, certo. Dettagli da unire e da capire. Eppur qualcosa si muove, nel pissi pissi del partito famiglia, che ultimamente vede a ribasso (ma chissà se è vero) le quotazioni di Francesco Lollobrigida, ministro-ex. A favore di Rampelli? Non esageriamo.

Possono essere semmai rette parallele che per un caso raro e occasionale si toccano. Sta di fatto che il vicepresidente della Camera, unico big a non avere avuto un avanzamento di carriera rispetto alla passata legislatura, è tornato a essere più centrale. Almeno nella percezione. Chi gli vuole bene dice che forse in caso di rimpasto potrebbe, a sorpresa, entrare a fare parte del giro buono. Chi non gli vuole bene – e ce ne sono – afferma: “Giammai!”.

E però l’unico mezzo oppositore interno di Giorgia Meloni (appellativo che al diretto interessato fa gonfiare le vene del collo) è rientrato   nel gruppo  che per un periodo lo aveva, complice il suo carattere non proprio elastico, messo un po’ ai margini. Rampelli non si sente una riserva della repubblica melonista, dice di divertirsi a fare il vicepresidente vicario della Camera (la quinta carica dello stato), ma fra due anni si voterà a Roma. E dopo la tragedia di Enrico Michetti l’idea è quella di puntare su un politico puro. Le alternative  sono il deputato Luciano Ciocchetti e la vicegovernatrice  Roberta Angelilli.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.