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L'editoriale dell'Elefantino

L'incomprensibile mistero della faccenda immigrati-Albania

Giuliano Ferrara

Accettati o respinti, gli immigrati raccolti in acque internazionali saranno riportati in Italia. In che senso funzionerebbe la deterrenza se l’approdo albanese è equivalente all’approdo italiano? Non meno misterioso l’argomentare delle opposizioni

Sfido chiunque a dirmi in coscienza: ho capito la questione dell’Albania e sono in grado di renderti ragione dell’accordo tra Meloni e Rama e della fiera opposizione all’accordo. Pagherei oro. Quelli che non hanno letto romanzi e racconti di Franz Kafka tendono a giudicare ogni situazione burocraticamente minacciosa e ingarbugliata come “kafkiana”. Beati loro che hanno questa via d’uscita facile dai pasticci. Ma nella faccenda immigrati-Albania campeggia incomprensibilità totale delle ragioni e dei torti, e Kafka non è incomprensibile, e regna la farsa dell’incomunicabilità di contenuti razionali e anche irrazionali, e Kafka non è un autore farsesco. Anche dopo aver letto la massima razionalizzazione possibile, quella del direttore di questo giornale sabato, la domanda resta inevasa: perché l’Albania?

   

Procediamo con ordine nel disordine. Il ministro dell’Interno Piantedosi con sicurezza e l’Economist con scetticismo hanno sostenuto che la funzione della trasferta albanese è o potrebbe essere, salvo monitoraggio (il miraggio del monitoraggio o il monitoraggio del miraggio è apparso anche alle autorità europee) quella della “deterrenza”. In che senso non si capisce, io non lo capisco. Le regole del patto con Rama dicono che fa tutto l’Italia, di tutto è responsabile l’Italia, i costi sono italiani, la progettazione, il trasporto, la giurisdizione sono di pertinenza italiana. I tempi della procedura accelerata di vaglio per l’accettazione o il respingimento di “adulti non vulnerabili” (definizione sublime del burocratese umanitario) sono gli stessi della procedura su suolo italiano. Di quei tempi e modi a decidere sono giudici che stanno a Roma, Italia. Sia in caso di accettazione sia in caso di respingimento, gli immigrati raccolti in acque internazionali saranno riportati in Italia, infatti l’Albania extra-Ue non si fa carico né di una loro eventuale residenza in loco né del trasferimento altrove, e il viaggio di ritorno in Italia è effettuato vuoi per vivere da persone libere, da titolari di diritto d’asilo, vuoi per ripartire per i paesi di provenienza, ciò che si chiama rimpatrio e che è una circostanza già in atto e molto rara (2.000 e poco più a fronte di 13.000 decisioni di espulsione a carico di immigrati illegali). La domanda dunque resta inevasa, la ratio non si capisce: perché Albania e non Bari? In che senso funzionerebbe la famosa deterrenza se l’approdo albanese è perfettamente equivalente all’approdo italiano? Mistero.

       

Misterioso anche il forte argomentare delle opposizioni politiche. Il centro del discorso è che si sperpera danaro pubblico, si fa un danno erariale. Sembra un argomento di Meloni vecchia maniera, dei tempi della furia e del blocco navale e delle polemiche roventi sull’industria dell’immigrazione affidata alle cooperative, per fortuna superati. Spendiamo nella sanità, per curarci meglio, quei quattro soldi che sono serviti a costruire il centro di trattenimento, dicono con fare un po’ demagogico. L’argomento è francamente populista, arretrato, meschino. Se funzionasse lo schema albanese, perché mai non dovrebbe essere adeguatamente finanziato? In sottofondo però l’argomento vero è che invece di accogliere in Italia i disgraziati del mare li si “deporta” in un altro paese chissà a che scopo antumanitario. In realtà vengono scortati, gli adulti non vulnerabili e eventuali minori non ancora identificati per tali, da una capiente nave della marina militare e fatti sbarcare normalmente in un centro che fa ribrezzo come tutti i luoghi di detenzione ma ha almeno la caratteristica di essere nuovo e nelle intenzioni congegnato per una breve permanenza, la procedura accelerata, al termine della quale ci sarà comunque il ritorno in Italia. E allora: perché l’Albania? Perché no all’Albania? Chi finge di avere capito secondo me mente o scambia le impressioni vaghe per intelligenza certa delle cose. 

       

Sulla questione della Corte di Giustizia europea e dei giudici italiani le cose si fanno apparentemente più chiare. Questi adulti non vulnerabili sono come le migliaia di immigrati legali che l’Italia concorda, attraverso i suoi decreti-flussi, di accogliere da certi paesi. Tranne che arrivano fuori dall’accordo, illegalmente e a loro massimo rischio, via mare. Il governo, finito il tempo grottesco e avvilente di Salvini e della sua pretesa di chiudere i porti e lasciare la gente in mare, moltiplica i porti di accoglienza e offre anche l’occasione albanese a coloro che guardia costiera e marina salvano nelle acque internazionali. Con le stesse procedure, con gli stessi avvocati a assistere e gli stessi giudici a vagliare. Il trasferimento dopo il salvataggio avviene quando si tratta di persone che arrivano da paesi con i quali esistono patti di flusso migratorio e che si considerano sicuri (entro i limiti della sicurezza in tutti i paesi di emigrazione di Africa e Asia, dove non vigono in genere democrazie liberali e stati di diritto solidi). Ora, e questa è l’unica cosa che si capisce, la magistratura decide che i paesi sicuri al cento per cento non esistono, e quindi si smantella tutto, che vuoi mai rimpatriare? e dall’Albania si torna in Italia quando l’Italia si era trasferita in Albania per un mese di accertamenti. Si preparano ricorsi, contromisure eccetera, e si ingaggia una lotta ideologica vecchio stile sull’umanitarismo delle condizioni di partenza degli immigrati: ma su che basi, perché, perché in un’Albania equivalente all’Italia o in un’Italia equivalente all’Albania?   

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.