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Girotondo

Cambiare le regole. Sì ma come? Dibattito fra esperti sulla querelle del “paese sicuro”

L’obbligo di recepire il diritto dell’Ue, ma anche l’urgenza di riscrivere le regole dell’accoglienza dei migranti. Dibattito fra esperti sul senso della nozione di “paese sicuro”. E sul futuro (difficile) del “modello Albania”

Paese sicuro o non sicuro? Il dilemma del “modello Albania” si attorciglia su questo giudizio, diventato una sorta di tagliola giuridica che ha bloccato il progetto del governo italiano di inviare sull’altra sponda dell’Adriatico i migranti provenienti da paesi sicuri. I giudici del Tribunale di Roma hanno deciso di applicare le sentenze europee, che ridefiniscono questa nozione. Ma cosa si intende davvero per paese sicuro? Chi decide quale paese lo sia e quale no? Che poteri ha la magistratura e in che modo questa discussione è arrivata al punto dal disinnescare il progetto del governo? Lo abbiamo chiesto ad alcuni esperti e giuristi che ci hanno spiegato quanto sia complicato fare convivere l’esigenza di soluzioni politiche nuove nella gestione del fenomeno migratorio con il rispetto delle leggi nazionali e, soprattutto, europee. Ne è venuto fuori un forum di riflessioni e proposte sul tema del “modello albanese”.

 


Un “attacco della magistratura” o un “pasticcio giuridico”, così è stato definito l’inghippo della nozione di paese sicuro. Da che parte schierarsi?


Fabio Spitaleri (professore di Diritto dell’Ue all’Università di Trieste): “Da una lettura della sentenza del Tribunale di Roma, questa sembra corretta e ben motivata, e fa riferimento alla normativa dell’Ue in maniera precisa, così come fa riferimento in maniera precisa alla sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia dell’Ue. Credo che in questo caso opportunamente il magistrato che ha redatto la sentenza ha dato una motivazione molto puntuale poi della decisione presa”.


Gianfranco Schiavone (giurista dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione): “Io sono dell’avviso che si tratti di un pasticcio, perché il governo italiano ha voluto forzare la mano non riconoscendo la supremazia del diritto dell’Ue sul diritto interno e addirittura, in questo caso, non riconoscendo che cos’è esattamente la nozione di paese di origine sicuro nel diritto dell’Ue e nell’interpretazione che ne ha data la Corte di Giustizia alla quale i giudici si devono, non si possono, attenere”.


Giovanni Fiandaca (giurista): “Più che di pasticcio, si deve a mio avviso parlare di una interazione complessa che si spiega in base al costituzionalismo multilivello che caratterizza il nostro ordinamento attuale come altri. Ora il costituzionalismo multilivello pone dei limiti vincolanti che la politica tenta di superare perché può avere anche le sue comprensibili ragioni. Ma è difficile che possa superarli come la politica desidererebbe, come vorrebbe fare questo governo di centrodestra perché questo comporterebbe un mutamento generale sul piano del costituzionalismo italiano ed europeo, un’impresa difficilissima per cui tutte le norme che eventualmente il governo Meloni si prefigge di modificare, tutte le disposizioni normative, possono sempre andare incontro a un controllo giurisdizionale”.

 


Adesso è allo studio un decreto per portare al rango primario la norma che stabilisce l’elenco dei paesi sicuri. Funzionerà per trattenere i migranti in Albania?

 

Spitaleri: “Nella prospettiva dell’Ue la designazione come paese terzo di origine sicuro è una facoltà per gli stati, dalla quale poi discende una conseguenza importante perché le domande delle persone provenienti da paesi terzi di origine sicura possono essere trattate con procedura accelerata o alla frontiera, alla quale spesso poi si connette una situazione di trattenimento. Dal punto di vista del diritto dell’Ue il tipo di fonte, quindi che sia un decreto del ministero degli Esteri piuttosto che un’altra fonte interna, quindi una legge, un decreto legge poi convertita in legge, è indifferente. Quel che conta è che siano rispettati i presupposti per questa designazione. La direttiva stabilisce i presupposti di merito, cioè deve trattarsi di stati in cui generalmente e costantemente non ci sono persecuzioni o trattamenti o pene inumani o degradanti, deve essere riesaminata periodicamente l’elencazione dei paesi fatti e la determinazione dei paesi terzi di origine sicura deve essere fondata su elementi e fonti attendibili provenienti o da agenzie dell’Ue o da organizzazioni internazionali. Resta fermo il rapporto tra norme interne e norme di diritto dell’Ue. Detto in parole semplici comunque a prevalere è il diritto dell’Ue. Quindi laddove ci siano dei profili di incompatibilità, il giudice interno disapplica la normativa interna, a prescindere dal rango e dalla tipologia di atto”.

 

Schiavone: “No, non può bastare perché il diritto dell’Ue è sovraordinato rispetto a quello interno. Però vede, si fa confusione tra due livelli completamente diversi. Uno è il fatto che la procedura d’asilo intende per paese di origine sicura un paese nel quale non vi sono in via generale, costante e uniforme violazioni gravi dei diritti fondamentali, e che, in questo caso, non si può applicare una procedura accelerata di frontiera, ma si deve esaminare la domanda in procedura ordinaria. Un altro piano giuridico e logico, completamente diverso e sul quale si fa una totale confusione, è invece su cosa avviene se la domanda di asilo è stata esaminata in procedura ordinaria, è stata rigettata ed è stata anche rigettato l’appello. Allora, se nel caso concreto si ritiene dal giudizio amministrativo e dal giudizio in sede giurisdizionale che quella singola persona non abbia un motivo di protezione internazionale, il rimpatrio può essere effettuato. Il concetto di ‘paese di origine sicura’ è procedurale ed è incardinato nell’ambito della procedura di esame delle domande. Sono ambiti completamente diversi”.

 


Il ministro della Giustizia ha parlato di “sentenza abnorme” sui paesi di origine sicura.


Fiandaca: “I giudici romani si sono adeguati alla sentenza dell’Ue in modo un poco estensivo. Nel senso che hanno ritenuto che il carattere sicuro o meno dovesse essere rivalutato non soltanto facendo riferimento a tutti i contesti territoriali all’interno di un determinato paese, ma hanno ritenuto che il giudizio di sicurezza o insicurezza dovesse tenere conto anche della tipologia soggettiva dei migranti in questione. Nel senso che hanno ritenuto che un certo paese ritenuto sicuro può essere insicuro per le donne, gli omosessuali, per i dissidenti politici, quindi per categorie soggettive di persone. Ma i giudici romani, premesso che avevano il dovere e il potere di sindacare in concreto sulla sicurezza del paese, hanno dato una valutazione estensiva che può apparire discutibile. I giudici romani possono essere andati al di là di quanto stabilito da quelli di Lussemburgo, ma nella giurisprudenza le interpretazioni estensive non sono un fatto abnorme, come ha detto il ministro Nordio. Nella giurisprudenza, per lo più in penale per esempio, avviene quasi sempre che le interpretazioni sono prevalentemente estensive rispetto al tenore letterale delle norme”.

 

Matteo Villa (Senior Research Fellow all’Istituto per gli studi di politica internazionale): “Finché siamo in Europa è abbastanza chiaro. Cioè, la giurisprudenza che ha creato la Corte di Giustizia europea dice che è il giudice in quel momento specifico a dover ridecidere se quel paese è sicuro. Naturalmente utilizzando tutte le fonti che dovrebbe utilizzare lo stesso governo quando va a scrivere le schede paese. Quindi, se la maggioranza fa un decreto che dice quali sono secondo lei questi paesi sicuri, vista la sentenza della Corte di Giustizia europea, questa lista non ha così tanta importanza perché il magistrato che deve poi convalidare l’ordine di trattenimento deve tutte le volte chiedersi se quel paese è sicuro oggi, a prescindere da quello che dice il governo. Probabilmente a questo punto si pone un grosso problema”.

 

Schiavone: “La questione di fondo è che, nel momento in cui sono state inserite delle procedure di tipo accelerato e con garanzie inferiori il diritto dell’Ue, per cercare di anche di controbilanciare ed evitare abusi, ha previsto che queste siano percorribili solo in alcune circostanze nelle quali può sembrare ragionevole che la domanda d’asilo sia infondata”.

 

Spitaleri: “L’elencazione dei paesi terzi sicuri spetta agli stati membri, quindi secondo le rispettive norme di competenza. In questo caso noi abbiamo un decreto legislativo che poi affida al ministro degli Esteri il compito di redigere questa legge. Questo è perfettamente in linea con le indicazioni, è una facoltà degli stati. La lista però poi è suscettibile di valutazione da parte dell’autorità giudiziaria o nel contesto, come in questo caso, della convalida del trattenimento, o eventualmente nel contesto di un ricorso contro una decisione delle commissioni territoriali per riconoscimento della protezione internazionale che neghi lo status di rifugiato o di titolare di protezione sussidiaria. Quindi in questi contesti l’autorità giudiziaria, normalmente viene fatto sulla base di una censura di una contestazione dell’interessato. Ma anche quando - e per questo le dico, è un profilo che non è stato sufficientemente sottolineato - il giudice nazionale ha un dubbio sulla correttezza della designazione. In tal caso può, anzi è tenuto a valutare d’ufficio se quella designazione è corretta.

 


Ma perché le persone dirette in Albania devono per forza arrivare da “paesi sicuri”?

 

Villa: “Il motivo è perché in quel modo tu li puoi sottoporre a una procedura di asilo accelerata che, in teoria, li fa stare lì dentro al massimo quattro settimane. A quel punto, tu hai un trattenimento per un periodo di tempo limitato. D’altra parte, con le procedure ordinarie si allungherebbero i tempi e più il trattenimento diventa lungo e più, ovviamente, andrebbe convalidato dall’autorità giudiziaria e diventerebbe un grosso problema. Quindi nel memorandum tra Italia e Albania sono previsti solo specifici casi, altrimenti appunto, cadrebbe tutto il progetto. Per farle restare lì, o si rifa il protocollo e si dice che queste persone arrivate in Albania sono libere di girare - ma a quel punto il primo ministro albanese Edi Rama dirà di no, ovviamente, perché non vuole che restino lì in circolazione da loro - o viceversa si devono mandare soltanto le persone per cui puoi fare le procedure accelerate”.

 


Il governo ripete però che molti paesi europei stanno guardando al modello Albania e che vorrebbero replicarlo. Cosa si prospetta in futuro per questi casi?

 

Schiavone: “Sembra che nessuno ricordi, anche se sono passati pochi mesi, il caso della Gran Bretagna, che in maniera diversa e da paese non più appartenente all’Ue, ha tentato quello che è il sogno nel cassetto di molti paesi dominati dalla destra e dall’estrema destra europea, cioè quello di delocalizzare la procedura d’asilo in altri paesi terzi, impedire l’accesso al territorio, esaminare al di fuori del territorio le domande d’asilo e semmai dopo ammettere nel territorio soltanto coloro a cui la domanda è stata accolta. Questa è un’idea politica che molti paesi coltivano già da alcuni anni, la cosa è sempre più insistente, ma non è prevista nell’attuale diritto dell’Ue. Ci troviamo di fronte a delle forzature, anche nel caso degli altri paesi, che però hanno nel frattempo solo annunciato e non hanno fatto, diversamente dal governo italiano, come se gli altri dicessero ‘vai avanti tu, che io guardo’. Ma tutti sanno benissimo che ciò che oggi si vuole fare non si può fare”.

 

Spitaleri: “Secondo me vanno considerati due punti. Il primo è la direzione che è stata presa in questa grande riforma del diritto dell’immigrazione approvata nel maggio scorso, e che va nel senso di fare procedure alla frontiera in maniera rapida, per valutare alla frontiera le domande di protezione internazionale e per svolgere sempre dalla frontiera le procedure di rimpatrio. Questa è la direzione generale che molto sinteticamente è stata recepita in questa nuova riforma. L’esperienza di svolgere procedure di frontiera in paesi terzi non ha precedenti, e come stiamo vedendo solleva numerosissime difficoltà giuridiche e ce ne saranno sicuramente molte altre. Facile immaginare che anche sotto il profilo della possibilità di garantire adeguata tutela giurisdizionale alla persona in quei contesti saranno sollevate delle questioni. Quindi essendo un’esperienza senza precedenti sicuramente troverebbe analoghe difficoltà. Realizzarla nella cornice delle garanzie fondamentali delle persone, dell’assetto normativo complessivo dell’Ue è un qualcosa di sicuramente molto complicato”.

 


Ma come si esce da questo impasse giuridico e politico?


Schiavone: “A mio avviso non c’è nessuna via d’uscita nel senso che, rispetto alla vicenda specifica su come rendere sicuri paesi che non lo sono, il governo italiano non ha nessuna possibilità. Nessuna. Questo però non vieta che per paesi diversi da quelli di cui stiamo parlando (Egitto e Bangladesh, ndr) e che è impossibile siano valutati come sicuri - come la Tunisia per esempio a cui il governo italiano tiene molto - i giudici valutino che ci sia una conformità fra il fatto che quel paese sia inserito nell’elenco dei paesi sicuri e il fatto che sia realmente sicuro. I giudici non hanno detto che quell’elenco è tutto falso. Hanno detto che, in questo caso, quell’elenco non era corretto, perché non corrisponde ai princìpi della direttiva. Per altri paesi potrebbe invece coincidere”.

 

Spitaleri: “Qui c’è un grande problema di fondo che prima o poi dovrà essere sciolto perché, a rigore, questa è una situazione che si pone al di fuori del diritto dell’Ue. Perché con questa impostazione, nel caos albanese è stata l’Italia a concludere l’accordo, non l’Ue. Quindi probabilmente quello che succederà nei prossimi anni è se iniziative di questo tipo non debbano essere ancorate ad accordi conclusi dell’Ue. Credo che la grande questione sia: se si sceglie questa linea chi la deve condurre? Ogni singolo stato membro o l’Ue nel suo complesso? Credo che questo sarà il grande dibattito in futuro”.

 

Fiandaca: “In linea di principio io capisco l’esigenza di accordi come quello con l’Albania. Certo che bisogna riconoscere alla politica la più ampia libertà di movimento e di decisione. E anche la più ampia libertà di modificare, di innovare, di modificare le politiche migratorie. Non è che siamo sempre vincolati a seguire una sola politica. Però tutte le modifiche devono essere pensate e studiate in maniera compatibile col complesso quadro costituzionale attuale che impone sempre a un giudice l’ultima parola sulla tutela della libertà personale. Non perché siano i giudici arbitrariamente a volerlo fare, ma perché ciò è imposto dall’ordinamento attuale”.