Tra Albania e Ue
Donzelli (FdI): “Gli afghani rimpatriati ci danno ragione”. Il caso tedesco e quello francese
Il colonnello meloniano rivendica la linea sui migranti. Il governo vara il nuovo decreto sui "paesi sicuri" e cerca sponde all'estero. La Francia tratta con Iraq, Egitto e Kazhakistan per accelerare i rimpatri. La Commissione europea: “Lavorare a liste comuni su stati sicuri. Le misure adottate dall'Italia devono essere conformi al diritto Ue”
“Per noi i 28 afghani rimpatriati dalla Germania bastano e avanzano a giustificare il provvedimento del governo”. E’ su questo assunto, dice il meloniano Giovanni Donzelli, che la maggioranza è convinta di aver imboccato la strada giusta per il controllo delle frontiere. Anche a costo di arrivare allo scontro con la magistratura. Il protocollo Albania, com’è noto, fa della definizione di “paesi sicuri” un punto centrale. Solo i migranti provenienti da tali paesi possono infatti essere condotti sulle rive albanesi ed essere sottoposti alla cosiddetta “procedura accelerata” per la domanda d’asilo. Con il Consiglio dei ministri di ieri, Palazzo Chigi ha provato a fare un ulteriore passo in avanti, elevando il precedente decreto interministeriale contenente la lista dei paesi sicuri (un atto amministrativo) a norma di rango primario, nella convinzione che in questo modo saranno neutralizzati i ricorsi e le sentenze dei tribunali. Non è detto che andrà così, molti giuristi restano scettici, ma è questo il sentiero imboccato. Si tratta di un sentiero stretto, strettissimo, ma che conta di trovare sponde – quantomeno a livello politico – in casi come quello tedesco, nonostante ci si muova in ambiti giuridici differenti. Dopo l’attentato di Solingen, la Germania ha infatti rispedito in Afghanistan, grazie a un accordo mediato dal Qatar, 28 afghani condannati sul suolo tedesco per vari reati. I rimpatriati dovrebbero quindi continuare a scontare la loro pena nel loro paese d’origine. Il caso tedesco non riguarda la definizione di paese sicuro, ma restituisce l’idea di come i singoli paesi abbiano da un certo punto di vista mani libere.
Nell’Unione europea inoltre non esiste una lista comune a tutti gli stati membri che individua quali siano gli stati sicuri. Esistono invece dei criteri di garanzia stabiliti attraverso una direttiva Ue, la 2013/32. Ogni stato decide quindi, nel rispetto della legge, se e come stilare la propria lista. E’ questa, come detto, la condizione necessaria per permettere ai migranti di poter usufruire della procedura accelerata. “Ed è una garanzia oltre che l’Italia, anche per gli stessi migranti, che potranno sapere in tempi brevi la loro sorte”, rivendica ancora Donzelli. Lo stesso spiega anche l’ufficio Affari internazionali del ministero degli Interni. Con il protocollo albanese l’Italia, ci spiega un funzionario, “si fa interprete, come apripista, del nuovo Patto sulle migrazioni e sull’asilo”. L’intesa entrerà in vigore a luglio 2026, è lo strumento con cui l’Unione europea punta a rendere più rapide le procedure per i rimpatri. “Per questo già da oggi molti paesi europei guardano con interesse a quanto accade da noi”, aggiungono. “Oggi non ci sono esempi analoghi al nostro. Ci muoviamo in un contesto in cui il Regolamento di Dublino è ormai politicamente superato, dopo tante critiche e tanti tentativi di modifica. Ma, man mano che si avvicina l’entrata in vigore del nuovo Patto, tanto paesi faranno ricorso a soluzioni simili alla nostra”. La scorsa settimana, prima dello stop imposto dal tribunale di Roma, il modello albanese è stato presentato dalla premier Meloni ai partner Ue, prima del Consiglio europeo, nel corso di una riunione a cui hanno preso parte una quindicina di paesi, tra questi anche alcuni appartenenti al mondo dei socialisti europei.
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in quell’occasione ha spiegato che il caso italiano “va studiato”. Mentre altre manifestazioni di interesse erano arrivate dall’Inghilterra, dopo il fallimentare tentativo del modello Ruanda il primo ministro Keir Starmer è in cerca di soluzioni alternative. Dall’Olanda, che ha pensato a hub per migranti in Uganda (ricevendo per il momento risposte negative dal paese africano). E anche dalla Francia: il ministro degli Interni del nuovo governo, Bruno Retaille vuole aumentare il numero delle espulsioni e per questo starebbe negoziando con Iraq, Egitto e Kazhakistan affinché la Francia possa mandare lì i migranti da rimpatriare, e non solo quelli provenienti da quei paesi. Una soluzione che va oltre quella italiana, secondo la stampa francese infatti nel disegno di Retaille, l’Egitto dovrebbe accogliere i cittadini espulsi dell’Africa orientale e del Maghreb; il Kazakistan dovrebbe occuparsi degli afghani; infine l’Iraq per i cittadini siriani.
Ieri da Bruxelles è arrivata una nuova mezza apertura verso Roma: “Dobbiamo lavorare su una lista comune di paesi sicuri, è previsto”, ha spiegato il portavoce pur aggiungendo che “le misure adottate dalle autorità italiane devono essere conformi al diritto e ai trattati Ue”. Nel governo, lo hanno ribadito, su questo hanno pochi dubbi. Si vedrà.