Fatti evanescenti
Il modello albanese si capisce poco, il modello Meloni invece sì: il lepenismo non c'entra nulla
La baruffa sull’Albania e gli immigrati sembra fondata su premesse e conclusioni errate. La ratio dell’opposizione ideologizzante, che scambia la premier per Le Pen (o Salvini), è insensata. Leggere Le Monde
Albania, Albania / per piccina che tu sia / tu mi sembri una malia. Vale la pena di insistere: la baruffa sull’Albania e gli immigrati sembra fondata su premesse e conclusioni insensate. Non è una rissa sillogistica, non è aristotelica, non è logica, è invece sofistica e ingarbugliatissima, indistricabile. In democrazia è importante discutere, confrontarsi, confliggere sui fatti e sui valori, ma è altrettanto importante che sia chiaro di che cosa mai si discute, che siano certe le implicazioni di questa o quella scelta, altrimenti si discute rigorosamente del nulla, e il tutto diventa una metafora ampollosa di pregiudizi radicati.
Sembra di essere tornati ai tempi oscuri del salvinismo e dei porti chiusi, e invece non è così. Salvini se la deve vedere con un tribunale e con le accuse, respinte con sfrontata attitudine propagandistica, riguardanti il sequestro in mare, che per lui e per il suo temerario avvocato fu “bighellonaggio”, di quasi centocinquanta immigrati salvati da una ong e ai quali fu da lui impedito lo sbarco all’insegna della difesa dei sacri confini della Patria, che con il diritto del mare e il dovere umanitario di soccorso non avevano alcun rapporto. Può essere più o meno opportuno chiedere una pesante condanna per un atto di assurdismo ministeriale, costoso in termini di condizioni umane di naufraghi, censurabilissimo, e pericoloso sotto il profilo della demagogia politica visto che era premessa per la grottesca richiesta di “pieni poteri”, ma pur sempre un atto di governo in teoria legittimato dalla prassi delle circolari. Ma tutto questo non c’entra con l’Albania, il trattenimento, la polemica sui paesi sicuri.
Il corrispondente da Roma del Monde, Allan Kaval, ha scritto tempo fa su quel giornale, che non è precisamente un foglio d’ordinanza a sostegno del centrodestra italiano, un articolo in cui esamina le due diverse nozioni di immigrazione e politica immigratoria definite nel programma di Marine Le Pen in Francia e di Giorgia Meloni in Italia. Per la Le Pen (destra francese sovranista alla quale si è affiliato Salvini) immigrazione vuol dire: ansia per la sicurezza interna, frode sociale su welfare e casa, rivolte nelle banlieue, dilagare dell’islamismo e dell’antiebraismo islamico, angosciosa messa in questione dell’identità nazionale, perdita di senso della storia in un paese dal passato coloniale, resa alla tecnocrazia mercantile europea che svuota di forza e efficacia la difesa dei confini delle Patrie in nome della sovranazionalità. Per Giorgia Meloni il sottotesto lepenista è inesistente, scrive Kaval sul Monde, “il tema dell’immigrazione non serve a dissimulare un discorso sulla realtà italiana interna che lascia ai suoi alleati della Lega e alle frange più a destra dello spettro politico”, “l’immigrazione è un fenomeno di geografia umana esterna che deve essere controllata, e la sua regolazione offre delle opportunità in materia di politica estera”.
Per questo “sarebbe sbagliato considerare le due dirigenti di estrema destra come interpreti di uno stesso discorso”. Con Meloni “la politica migratoria di Roma è divenuta un vettore di azione diplomatica”, così per il piano di cooperazione con l’Africa, così per gli accordi con Tunisia e Egitto validati dalla Commissione di Bruxelles, così per il patto migratorio europeo approvato dall’Italia e osteggiato fieramente dal partito lepenista in Francia.
Ora è evidente che intorno alla questione albanese l’opposizione cerca di smantellare in ogni modo, con l’assistenza giurisdizionale, per così dire, di magistrati che cavillano sul grado di sicurezza dei paesi di provenienza degli immigrati adulti e non vulnerabili salvati in mare e sottoposti a procedure di accertamento del loro diritto all’asilo, una politica migratoria che rovescia completamente la teoria del “blocco navale”, alla quale Meloni indulgeva quando era all’opposizione, e la converte in una strana procedura di accoglienza mediante l’outsourcing albanese. L’opposizione vuole dimostrare che qui si vuole “deportare” su suolo non italiano, per chissà quali scopi antiumanitari, gente che fugge da condizioni miserabili e che si cerca di rigettare in quelle condizioni in disprezzo del concetto solidale di accoglienza fatto proprio da Vaticano e Conferenza episcopale e ong. Ora outsourcing vuol dire che un’azienda, per non gravare di costi fissi il suo bilancio e la sua struttura, appalta a un’altra azienda di servizi certe funzioni. Ma questa “altra azienda” ha sue regole diverse in materia di legislazione sul lavoro, e può procedere con procedure più flessibili e leggere, questa è la premessa di un outsourcing. Nel nostro caso non è così: la giurisdizione dell’outsourcing è italiana, chi va in Albania torna comunque in Italia, l’Albania non accoglie e non rimpatria, si limita a ospitare, è un luogo di trattenimento perfettamente equivalente a un suo omologo che sia costruito, per esempio, a Bari o a Bisceglie. Dunque si può insistere, fino a prova contraria: la ratio dell’operazione albanese è di dubbia efficacia, anche in termini di cosiddetta “deterrenza”, e la ratio dell’opposizione ideologizzante, che scambia Meloni per Le Pen o Salvini, è insensata. Il conflitto democratico può esprimersi su fatti e valori meno evanescenti.