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L'arca di Ignazio. Tra dubbi sanitari e logistici l'idea del Senato aperto agli animali domestici non decolla

Ginevra Leganza

Il progetto anticipato dal presidente di Palazzo Madama in realtà è monco. Per i cani in Senato i pareri medici sono avversi. E le interlocuzioni con le organizzazioni dei lavoratori non ci sono

Passi per il cane in Senato. Passi per i micetti e i conigli nani. Passi pure per le iguane al guinzaglio. Ma, domanda: i bisognini, poi, chi li raccoglie? Il già accidioso commesso? Non se ne parla. Un funzionario addetto? Manco per idea. Un dogsitter reclutato per l’occasione? No e poi no. Ed ecco. La bollinatura riguardante la possibilità di ospitare gli animali domestici nella Camera Alta si presenta a tal punto complessa che l’Arca d’Ignazio, e cioè la possibilità annunciata in pompa magna di portare le bestie in Senato – col presidente La Russa in stile patriarca biblico – è ancora tutta una fantasia. 

 

Da quanto risulta al Foglio, infatti, il progetto a quattro zampe è monco. E il parlamento intraspecista non s’ha da fare. Per i cani in Senato i pareri medici sono avversi. Le interlocuzioni con le organizzazioni dei lavoratori non ci sono. E questa vita da cani, si capisce, è tutto un sogno della seconda carica dello stato. Un ghiribizzo dal sen fuggito, e nato su impulso della senatrice e presidente del gruppo parlamentare di Noi Moderati Michaela Biancofiore, il quale, appunto, non trova riscontro nella realtà. Quel che sappiamo, infatti, è che non c’è alcuna decisione. Zero proposte effettive. Niente di niente a parte l’insurrezione già serpeggiante fra i commessi e, d’altro canto, l’insistenza mai doma della senatrice. Di  Michaela Biancofiore, ricorderete, che prima d’essere proprietaria – ops, mamma – del carlino Puggy, fu la donna che convertì Silvio Berlusconi, notoriamente igienista, all’amore per i cagnetti e Dudù. Sicché a parte il permesso, dicevamo, concesso una tantum alla suindicata donna che sussurrava ai carlini (e al Cav.), la carica dei 101 a Palazzo Madama è solo flatus vocis. Un sogno avallato dal presidente La Russa, anch’egli amante dei cani e in special modo di un pastore tedesco che lo salvò, da ragazzo, dalle aggressioni dei compagni – lo ricordava ieri Aldo Cazzullo – che però non trova riscontro nelle deliberazioni del collegio dei Questori. Anzi. Benché fu a suo tempo autorizzata a portare la bestiola in ufficio, Biancofiore fu altresì ammonita acciocché Puggy nel Salone Garibaldi non costituisse un precedente. In altre parole: a che non costituisse un pretesto per trasformare il Senato in giardino zoologico. E cioè Palazzo Madama in un quadro diluviano di Hieronymus Bosch. Con tutti i cani dei senatori, i gatti dei collaboratori, le eventuali iguane di quant’altri animali e animalisti a carico dello stato. 

 

E dunque l’ipotesi – che cominciò a ventilare ormai un anno fa e che è tornata in auge nei giorni scorsi – non smette di cozzare, ci dicono, col parere dei medici. Ovvero dei responsabili sanitari del Senato che paventarono allora, e tuttora paventano, il rischio allergie. L’incompatibilità di un luogo tanto popoloso e avanti con gli anni – l’età media del parlamento è ben oltre i cinquanta – con il wet market sognato da Biancofiore, da Ignazio (aka Noè) La Russa e, non ultimo, dall’immancabile deputata forzista e attivista animalista Michela Vittoria Brambilla. 

 

Ricapitolando, quindi, abbiamo: problemi sanitari, scogli logistici, l’evidente necessità di consentire “anche” l’accesso dei figli minori, ma soprattutto, ancora, una domanda. Perché va bene il cagnetto. Stupendo il gattino. Ipnotica l’iguana. Ma le deiezioni, poi, chi se le appunta al petto? Una domanda che suona come un allarme. Un quesito che rotola, come una patata (o deiezione) bollente, dalle mani del presidente La Russa al Collegio dei Questori. E poi ancora rotola in capo al povero commesso. Il quale, raggiunto dal Foglio, dice: “Non sono mica un dogsitter, io!”.  E insomma, altro che cavalli e Caligola. Urge piuttosto un’Arca di scienza per fare l’Arca d’Ignazio. Un’Arca giuridica e burocratica, per capirci, che pare oggi la sola contromisura a che “Una notte al museo” non diventi “Una notte al Senato”. Coi chihuahua, va da sé, al posto dei dinosauri.

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