(foto Ansa)

l'editoriale del direttore

Due anni di Meloni spiegati con la linea di questo giornale

Claudio Cerasa

Una destra impalatabile che costringe però i critici a fare i conti con la realtà: un giudizio senza i paraocchi e con qualche sorpresa a due anni dalla nascita dell'esecutivo

L’articolo che state per leggere riguarda i primi due anni di vita festeggiati ieri dal governo Meloni ma riguarda anche un tema che tocca questo giornale e che riguarda nello specifico una domanda che ci siamo posti spesso negli ultimi due anni: come diavolo ha fatto una destra impalatabile, a tratti impresentabile, con idee terribili, con programmi spaventosi, con tic nazionalisti, con un passato inquietante, con alleati sovranisti e con una classe dirigente non all’altezza a stupire spesso in positivo chi, come noi, due anni fa, aveva immaginato di ritrovarsi di fronte a pericolosi estremisti destinati con prontezza a farci rimpiangere la stagione di Mario Draghi e a portarci a passi veloci verso i precipizi del populismo anti europeista?

 

I pregiudizi sono inevitabili e naturali quando questi si basano sull’osservazione delle promesse, delle parole, delle traiettorie, dei trascorsi, dei progetti di una forza politica. I pregiudizi però, a un certo punto, devono lasciare il posto ai giudizi, alla realtà, ai fatti e chi vuole guardare in faccia alla realtà non può negare che, due anni dopo, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni sia il fenomeno politico più interessante che esista in questo momento in Europa. La presidente del Consiglio continua a non essere la nostra cup of tea su un numero spropositato di temi. Ma questo giornale negli ultimi anni non ha potuto fare a meno di confrontare i suoi pregiudizi con i suoi giudizi su alcun temi importanti, che sono quelli su cui oggi si misura il giudizio sul governo Meloni. In politica estera, in attesa di Donald Trump, Meloni è andata magnificamente a braccetto con l’Amministrazione Biden e come posizionamento non ha sbagliato un colpo. Con l’Ucraina e contro Putin, senza se e senza ma, nonostante la demagogia sul no all’utilizzo delle armi inviate in Ucraina all’interno dei confini russi. E con Israele, e contro i terroristi che minacciano la sua esistenza, senza se e senza ma, nonostante anche qui la demagogia sulle armi non inviate a Israele dopo il 7 ottobre.

Sull’economia, anche qui, stessa storia. La demagogia è stata contenuta. L’attenzione al debito è stata reale. L’apertura agli investitori stranieri è stata concreta. E anche sulle pensioni Meloni ha fatto quello che un tempo mai avrebbe accettato di fare Matteo Salvini: non incentivare ma disincentivare le persone ad andare in pensione. Sul Pnrr, sul famoso Piano nazionale sulle riforme, non si può dire che il governo Meloni abbia dato il massimo (nel 2022, nel 2023, nel 2024 l’Italia ha speso in media 19 miliardi all’anno, ne prevede di spendere 45,1 nel 2025 e 86,7 nel 2026, più del doppio e più del quadruplo di ciò che si è speso finora, a dimostrazione del fatto che il governo ha rimandato ai prossimi anni dossier che non riusciva a chiudere). Ma il fatto che per Meloni sia stato un successo avere ottenuto un commissario europeo il cui scopo è anche il monitoraggio dei Pnrr d’Europa dimostra che anche i sovranisti possono arrivare a capire che per proteggere i paesi membri non serve meno Europa ma ne serve di più. Sull’Unione europea, anche qui, nonostante i tic demagogici emersi al momento della votazione di Ursula von der Leyen, Meloni tra l’approccio euroscettico, orbaniano, e quello europeista, e vonderleyano, ha scelto il secondo.

 

Ha votato a favore di tutte le sanzioni contro la Russia. Ha votato a favore del Patto di stabilità. E ha votato, come i leader del Pse, a favore del Patto sull’asilo e  migranti. Il caos di questi giorni sul cosiddetto modello albanese potrebbe portare a suggerire che sull’immigrazione l’approccio sia stato apertamente populista, un derivato del salvinismo, ma sarebbe un errore crederlo. Fino a oggi, Meloni sull’immigrazione si è mossa stravolgendo la dottrina nazionalista, archiviando la retorica dei porti chiusi, del blocco navale, delle frontiere sbarrate, e affidandosi alla ricerca di soluzioni in Europa (redistribuzione), alla ricerca di collaborazioni nel Nord Africa (Piano Mattei) e arrivando a considerare l’immigrazione per l’Italia come un’opportunità da cogliere, come dimostra la presenza del decreto Flussi più importante della storia del nostro paese (452 mila ingressi su tre anni). Ci sono mille ragioni per criticare il governo, cosa che in questi due anni abbiamo fatto spesso, e ci sono mille ragioni per essere delusi per la deriva securitaria, i tic anti scientifici, la non attenzione dedicata all’innovazione, il poco coraggio mostrato sulle tasse, l’incapacità di dettare un’agenda in Europa provando a sfruttare in Europa le debolezze dei propri partner. E tra un governo dei sogni e un governo che diventa più palatabile del previsto c’è una distanza siderale. Ma due anni dopo, anche grazie all’incoerenza che in questi mesi ci siamo spesso divertiti a segnalare, si può dire che con tutti i limiti che questo governo ha non c’è alcuna deriva lepenista, non c’è alcuna deriva autoritaria, non c’è alcuna deriva fascista, ci sono molte occasioni perse, molti treni non presi in orario, oltre a quelli che in orario continuano a non voler partire, ma nonostante questo solo chi vuole avere i paraocchi può far finta di nulla e negare un fatto evidente: un governo che prometteva il peggio si è trasformato spesso nel suo contrario, costringendo anche i critici a  mettere i propri pregiudizi alla prova dei giudizi e dunque della realtà, trasformando una destra impalatabile in uno dei fenomeni politici più interessanti e studiati d’Europa.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.