Modello Piantedosi

Oltre l'Albania. Come i giudici minano la strategia del governo sull'immigrazione

Gianluca De Rosa

Dopo la sentenza della Corte di giustizia europea e la decisione del tribunale di Roma il timore è che a saltare siano le procedure accelerate per le decisioni sulle richieste di asilo. Uno dei pilastri su cui l'esecutivo punta per creare un sistema efficiente per le espulsioni

Altro che Albania. Dentro lo scontro a colpi di sentenze e decreti legge tra politica e magistratura per stabilire a chi spetta decidere quali sono “i paesi sicuri” tra quelli da cui provengono i migranti c’è molto di più. A essere messa in discussione dalla sentenza dai giudici è il meccanismo delle “procedure accelerate” che è uno dei due pilastri sui quali si basa la strategia dell’esecutivo  per costruire un sistema efficiente dei rimpatri. Il secondo sono gli accordi con i paesi d’origine per garantire che i migranti possano essere davvero rimpatriati. La visione politica che c’è dietro è quella che la premier Giorgia Meloni ripete  sin dal suo insediamento a Palazzo Chigi due anni fa: non possono essere i trafficanti di esseri umani a decidere chi entra in Italia. La sentenza della Corte può minare dalle fondamenta la strategia del governo, ben oltre il modello albanese, perché la procedura accelerata può essere applicata solo ai migranti provenienti da paesi sicuri. Questa procedura non riguarda solo l’Albania, ma è già applicata in due centri in Sicilia, a Modica e a Porto Empedocle. Nell’idea del titolare del Viminale dovrà diventare la quella ordinaria per tutti i migranti proveniente da paesi sicuri. Per questo la battaglia con la magistratura sulla questione è per il governo così centrale.

 

La procedura, lo dice il nome, consente di accelerare notevolmente i tempi per il giudizio sulle domande di asilo. Per ascoltare il richiedente e decidere sulla sua domanda la commissione territoriale ha solo nove giorni, contro i 33 previsti dalla procedura ordinaria. Si dimezzano anche i tempi per l’impugnazione dell’eventuale diniego (da 30 a 15 giorni). E il migrante può essere rimpatriato già prima dell’appello. Inoltre si verifica un’inversione dell’onere della prova: spetta al richiedente asilo confutare la presunta sicurezza del proprio paese per sè. Secondo Piantedosi tutto questo serve a evitare che: “Il  meccanismo  non sia per la gran parte strumentalizzato per eludere il sistema delle espulsioni: io mi dichiaro profugo e poi di fatto rimango in Italia per anni”. Per evitare  che, senza il fermo del richiedente asilo, di quest’ultimo si perdano le tracce rendendo, una volta rigettata la sua richiesta, impossibile il rimpatrio. Le procedure accelerate d’altronde non sono un’invenzione di Piantedosi. Da anni è proprio l’Ue a chiederle. Per questo il titolare del Viminale sostiene che il governo non stia facendo altro che anticipare il nuovo Patto europeo su asilo e immigrazione che entrerà in vigore a giugno 2026. In quel pacchetto di norme, ricordava: “L’individuazione dei paesi sicuri viene fatta con esclusivo riferimento alle statistiche percentuali di approvazione  delle domande di protezione internazionale, attestandole sotto il limite del 20 per cento, cosa che già avviene per tutti i paesi che abbiamo inserito nella lista dei ‘paesi sicuri’”.


Può non piacere ma quello del governo – tra piano Mattei, ampliamento del decreto flussi, procedure accelerate e accordi bilaterali con i paesi di partenza – è un approccio complesso al fenomeno  delle migrazioni. Come registrato da un recente sondaggio forse proprio per questa poca spettacolarità non piace neppure agli elettori di destra che apprezzavano invece le intemerate puramente scenografiche di Matteo Salvini. A sinistra invece non si capisce molto. Nei giorni scorsi il Pd ha presentato una proposta di legge, scritta da Graziano Delrio, che prevede di superare la legge Bossi-Fini per consentire ingressi regolari in Italia secondo i fabbisogni del nostro mercato del lavoro. A differenza della linea del governo, e non è una differenza da niente, permetterebbe di entrare anche a chi un lavoro non lo ha già ma vuole venire a cercarlo. Ma su cosa fare con chi prova a entrare in modo irregolare il Pd, accantonata la linea Minniti, è rimasto afono. 

In ogni caso la sentenza del Tribunale di Roma pone un quesito: le procedure accelerate sono compatibili con  lo stato di diritto? Secondo Mario Morcone, con quattro ministri dell’Interno a capo del dipartimento Immigrazione del Viminale no. “Le procedure accelerate – dice – attenuano le garanzie e i diritti di chi chiede asilo”. Morcone, che pure comprende l’esigenza della gestione dei flussi, sostiene anche che non servano poi così tanto: “Perché comunque più di 3 mila, al massimo 4 mila rimpatri l’anno non si riescono a fare perché bisogna convincere i paesi d’origine a riprenderli”. C’è un dato che sembra dargli ragione. Da inizio 2024 sono stati 4.251 i rimpatriati nei loro paesi d’origine (il 16 per cento in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno). Mentre sono oltre 60 mila i fermati direttamente in Libia e Tunisia prima della partenza dopo la firma dei memorandum con i due paesi.