La battaglia sul cinema
Il tax credit arriva in Aula, via legge di Bilancio, dopo mesi di incertezza
La "svista" su un meccanismo automatico visto come bestia nera (mentre altri paesi ci contano per attrarre investimenti) e la fuga all'estero delle produzioni
E’ rientrato dalla finestra, il tax credit, meccanismo automatico di sgravi per l’industria audiovisiva, nel senso che è previsto, anche se modificato, nella bozza di Legge di Bilancio, ma dopo molta incertezza e con effetti-paradosso già in atto per effetto del temporeggiare, come denunciano da tempo gli operatori del settore, parlando di produzioni saltate, ferme o emigrate all’estero, per esempio verso paesi come Spagna, Turchia e Gran Bretagna (che sul tax credit hanno invece fatto affidamento per attirare investimenti).
Passo indietro: durante la gestione Sangiuliano, tra il 2022 e il 2023, e nell’idea di scardinare quelli che sono stati considerati, presso il governo Meloni, meccanismi disfunzionali nel funzionamento dell’industria cinematografica, dal Mic sono arrivati segnali che hanno messo in allarme l’intera filiera: si diceva di voler sradicare “l’amichettismo” (dare soldi a film degli “amici”) e di voler fare luce sui “compensi esagerati” per registi e attori, a partire dalla revisione del meccanismo del tax credit, come fosse la malapianta capace di indirizzare in un senso o nell’altro la creazione di film e serie tv. Si annunciava, ma senza arrivare (per quasi un anno) a un quadro definito, motivo per cui – come denunciato nella primavera scorsa dai produttori in seno all’Anica, dai distributori e dai lavoratori dello spettacolo al grido di “il cinema è ai titoli di coda” – si è prodotto un effetto-congelamento in un settore che, dopo la pandemia, stava invece conoscendo un boom dagli effetti virtuosi, come testimoniato da uno studio Cdp del 2023 in cui spiccava un dato su tutti: per ogni euro investito sul cinema, se ne creano 3,54 in altri comparti, con beneficio in tema di occupazione in generale.
Nel luglio scorso, infine, si è arrivati al decreto, co-firmato dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. L’idea era quella di cambiare le “regole del gioco”, ma l’incertezza è continuata: gli attesi decreti direttoriali sono arrivati soltanto in autunno. Nel frattempo, appunto, qualcuno si è fermato, e altri sono scappati all’estero. Colpisce la svista, per così dire: il tax credit è un’agevolazione fiscale volta a sostenere e potenziare produzioni audiovisive, non un finanziamento pubblico erogato sulla base di una valutazione della qualità artistica di un progetto, ed è un meccanismo automatico che prevede il rientro di una percentuale delle spese effettivamente sostenute dalle produzioni (che anticipano il cento per cento). Paragonato alla “rottamazione auto” come sistema di incentivazione — e presente in molti paesi proprio per il suo potenziale “moltiplicatore” di investimenti con impatto su occupazione, turismo, editoria e infrastrutture — nasce anche per sostenere in automatico uno degli strumenti di soft power di un paese: l’audivisivo.
L’ultimo film di Paolo Sorrentino, “Parthenope”, tanto per fare un esempio, potrebbe aiutare a promuovere l’immagine dell’Italia all’estero più di uno spot del ministero del Turismo, distribuito com’è in oltre 60 paesi. Il “Gladiatore 2”, invece, in uscita a novembre, non è stato girato nella Capitale, come sarebbe stato naturale per la presenza di sfondi antico-romani originali o ricostruiti a Cinecittà, ma in Marocco, Malta e Inghilterra, paesi dove il tax credit non è stato oggetto di un dibattito volto al ridimensionamento (anzi). Ci si domanda ora se il taglio previsto in Italia, e lo spostamento sul settore “finanziamenti discrezionali” in capo al Ministero della Cultura, potrà essere foriero di altre fughe all’estero. Intanto, in Parlamento, dall’opposizione, i calendiani hanno pronto un pacchetto di emendamenti sul tema, dice la vicepresidente di Azione in Commissione Cultura Valentina Grippo: “Nella bozza di legge di bilancio che sta girando si riduce l’investimento sul cinema, e si incrementa dal 15 per cento al 30 per cento il limite massimo delle risorse del Fondo per il cinema e l’audiovisivo da destinare ai contributi selettivi, togliendoli al tax credit. E torna alla carica l’idea dello stato produttore, visto che si prevede che lo Stato acquisisca la titolarità di una quota dei diritti sulle opere beneficiarie e dei relativi proventi”. “Ancora una volta”, dice Grippo, “si equivoca il funzionamento del tax credit, che non è un finanziamento pubblico che lo Stato concede per la produzione di film meritevoli, ma uno sgravio fiscale che permette di agevolare gli investimenti privati in un settore strategico. Se mettiamo barriere burocratiche, incertezza e discrezionalità, gli investitori vanno a spendere altrove”.