L'editoriale del direttore
Rincorrere il mini M5s fa sbandare. Lezioni per il Pd dal voto in Liguria
Le regionali valgono poco ma gli spunti per i dem non mancano: demonizzare il nemico non funziona, puntare sul moralismo neanche. Iniziare a trattare i grillini come la Lista Dini
Tra le poche certezze che ci vengono regolarmente consegnate dalle elezioni regionali ce ne sono due che anche in questa occasione possono essere utilizzate per provare a ragionare su quelle che sono possibili lezioni da trarre dall’esito del voto ligure. La prima certezza, una certezza che ci rendiamo conto sia difficile da digerire, è che non ci sono certezze e che trasformare un incerto voto locale in un evidente messaggio nazionale è un’operazione spericolata e nella sostanza persino sbagliata. La seconda certezza, una certezza che si lega bene con la prima, è che all’indomani di ogni elezione locale tutti i protagonisti del voto, anche quelli più umiliati, non perdono occasione per provare a dimostrare l’impossibile, ovverosia che l’esito elettorale conferma senza alcuna ombra di dubbio quello che i protagonisti del voto, anche quelli più umiliati, intendevano dimostrare prima ancora del voto, con una contorsione dei fatti e anche della logica che naturalmente è direttamente proporzionale alla batosta ottenuta.
Il gioco è semplice: più un’elezione va male e più chi quelle elezioni le ha perse sarà tentato dal dire che comunque sia aveva ragione lui e che il vero problema se proprio lo si vuole cercare va ricercato nell’alleato A, colpevole di aver fatto la scelta B, senza la quale ci sarebbe stato certamente lo scenario C che a sua volta è stato evitato grazie alla mossa D. Avere certezze dopo un’elezione regionale è dunque un po’ spericolato, oltre che sbagliato, ma naturalmente, per non essere un’eccezione alla regola, non ci sottraiamo anche noi alla tentazione di individuare un qualche trend, scusate la parola, che possa aiutare a capire qualcosa di più su una tornata elettorale il cui significato è però prettamente locale. Qualcosa però, pur camminando su un filo, si può provare a dire. E quel qualcosa riguarda la partita a distanza tra Elly Schlein e Giorgia Meloni, che la seconda per distacco sta vincendo sulla prima.
Da quando Elly Schlein si trova alla guida del Pd, dal 26 febbraio del 2023, ci sono state sette tornate elettorali regionali, più una provinciale. Il centrosinistra, guidato da Schlein, ha vinto in un’occasione, in Sardegna, nel febbraio del 2024, con un candidato tra l’altro espressione del M5s, e ha perso invece in tutte le altre circostanze: Friuli Venezia Giulia (aprile 2023), Molise (giugno 2023), Provincia autonoma di Trento (ottobre 2023), Abruzzo (marzo 2024), Basilicata (aprile 2024), Piemonte (giugno 2024). Totale voti ottenuti dal centrodestra in queste elezioni: 2.796.964. Totale voti ottenuti dal centrosinistra: 1.934.613. Dato curioso, a proposito di trend. Il centrosinistra, dopo aver battuto il centrodestra in Sardegna, disse che la Sardegna era il simbolo di ciò che stava succedendo in Italia (distanza tra le coalizioni: 3.061 voti). Il centrosinistra, dopo aver perso in Liguria, ha detto che la Liguria è solo il simbolo di ciò che è successo in Liguria (distanza tra le coalizioni: 8.824 voti). Di fronte a questi risultati si potrebbe provare a sostenere che le sconfitte di Schlein & Co. sono maturate a causa di un modello preciso scelto dal centrosinistra. Ma anche questo sarebbe sbagliato.
In Sardegna, il centrosinistra ha vinto senza il centro e con un candidato del M5s. In Molise, il centrosinistra ha perso senza il centro e con un candidato del M5s. In Liguria, il centrosinistra ha perso senza il centro e con un candidato del vecchio Pd. In Abruzzo, il centrosinistra ha perso mettendo insieme il centro e il M5s. In Basilicata, il centrosinistra ha perso spingendo il centro ad appoggiare il centrodestra. In Piemonte, il centrosinistra ha perso spingendo il centro verso il centrodestra. Certo, verrebbe da dire, è ovvio: quando vi è un’elezione che premia la coalizione, chi fa la coalizione più grande ha più probabilità di vincere. Eppure, se ci si riflette un istante, si capirà con facilità che il filotto delle regionali è lì a dimostrare al centrosinistra che il problema vero, della coalizione, non coincide con l’ossessione di Schlein, ovvero la formula, ovvero l’algebra, ma coincide con un tema più importante, più interessante. Se due anni dopo la nascita del governo, la luna di miele del centrodestra con gli elettori continua a essere praticamente intatta i motivi sono due. O il governo è guidato da fenomeni impeccabili, infallibili, che trasformano in oro tutto quello che toccano. O l’opposizione è guidata da una leadership, e da una leader, che al momento non ha trovato nulla di più forte per contrapporsi alla sua avversaria che urlare al regime, che evocare il fascismo, che giocare con la paura, che giocare con l’algebra. E’ vero che la Liguria segnala che il problema della coalizione che il Pd guida sono gli alleati del Pd, più che lo stesso Pd. Ma una leader che vuole provare a fare il salto di qualità deve capire con urgenza che senza carisma non si sfonda, che senza visione non ci si allarga e che per poter costruire un’alternativa non basata esclusivamente sulla demonizzazione dell’avversario occorre avere un Pd più centrale, capace di dettare l’agenda non solo all’interno della bolla democratica, e meno alla rincorsa dell’album di famiglia, di un M5s che pesa come una lista Dini e di una concorrenza di sinistra che semplicemente non c’è.