Lo scontro
La voce di John Elkann: "Stupito dall'aggressività di Meloni. Stellantis non è un partito"
I pensieri del presidente di Stellantis, dopo le parole della premier: "Basta sciacallaggio, Stellantis è un operatore economico, c'è rispetto per le istituzioni ma si vuole dialogare o si cerca il nemico perfetto?"
Roma. Gli dicono “resta in Italia”, ma lo prendono a pedate e lo coprono d’insulti. L’offeso, il ferito, ora è lui, John Elkann, il presidente di Stellantis. Le frasi di Giorgia Meloni che gli ha dato del maleducato (“uno che avrebbe mancato di rispetto alle istituzioni”)? Sono parole che gli destano “stupore”, per “l’aggressività”, e lo “rammaricano” perché, e lo pensa Elkann, “il rispetto delle istituzioni fa parte della nostra storia e della tradizione di famiglia. Io sono orgoglioso di essere italiano”. Il rifiuto di farsi audire in Parlamento? E’ il risultato di “un’incomprensione” sul ruolo di Stellantis, una società globale, rappresentata dal suo ad, Tavares, e non un partito politico. Precisa, “non un partito politico”. La continua accusa della destra che gli viene rivolta, “avete più preso che dato”, la ritiene “ingiusta” perché non tiene conto di “quanto investito e restituito tramite stipendi, tasse e bilancia commerciale”. La premier, parlando da Bruno Vespa, ha dichiarato che a Elkann “temo sfuggano i fondamentali”. Elkann ha letto le sue frasi dalla California, da Palo Alto, all’International Council di Jp Morgan (uno dei primi compratori del debito pubblico italiano) dove partecipa come advisor insieme a figure come Larry Fink, presidente e ad di BlackRock, che Meloni, il 30 settembre, ha incontrato a Palazzo Chigi. Perché Fink e Musk, (aiutato in passato da Elkann) sì e lui no? Il mancato incontro Meloni-Elkann è un altro argomento che divide la premier e il presidente di Stellantis che, ricorda, è stato ricevuto da tutti i governi “eccetto che da questo”. E’ un altro esempio di “incomprensione”, parola che il nipote di Gianni Agnelli contrappone adesso a rancore e “sudditanza” di Meloni. La premier ha spiegato che c’è un dialogo, un dialogo “che continueremo a fare senza sudditanze e condizionamenti”. Cosa intende Meloni, si chiede Elkann, quando parla di “sudditanza”? Qual è la sua ambizione? Vuole dialogare con un operatore economico, con Stellantis, o “c’è solo la voglia di trovare un nemico perfetto?”. Più lo coprono d’insulti ed Elkann meglio potrà dire: “Non ci volete”.
Anche John Elkann vorrebbe fare alcune domande ai ministri del governo Meloni. La prima. Qual è la reale ambizione di questo governo dopo il taglio dei fondi all’automotive? La seconda. I cinesi di cui aveva parlato il governo, il ministro Urso, dove sono? La terza. Perché questo “rancore” verso un imprenditore che perfino Donald Trump si è sentito in dovere di chiamare, personalmente, dopo la scomparsa di Sergio Marchionne? Raccontano che dopo le parole, dure di Meloni, Elkann, in un primo momento, abbia parlato di desiderio di “sciacallaggio”, di “nemico perfetto”. Al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che ha chiamato per spiegare il suo rifiuto, la mancata audizione in Parlamento, ha ripetuto che “non c’è stato nessun disimpegno in Italia” e dato la disponibilità per un dialogo “franco e rispettoso”. Il governo vuole un confronto “franco” e “rispettoso”? Volkswagen, in Germania, sta per chiudere due stabilimenti. La Spagna, dove il costo dell’energia è inferiore all’Italia, presenta più vantaggi dell’Italia. Elkann si chiede se a Palazzo Chigi c’è la volontà di leggere il contesto internazionale o solo la voglia di un “processo” che sta cavalcando anche la sinistra. L’unico partito che non ha attaccato il presidente di Stellantis è Forza Italia, il partito degli eredi Berlusconi, il partito di Marina, venuta a Roma, al Quirinale, per ricevere il titolo di Cavaliera. Dal 6 al 12 novembre, il presidente Sergio Mattarella, andrà in visita ufficiale in Cina e tra gli imprenditori che lo seguiranno ci sarà John Elkann. Il presidente di Stellantis cosa vuole da Meloni? Dal governo Elkann desidera un riconoscimento che la prima azienda manifatturiera italiana pensa di meritare. Vuole che si fermi la caccia alle streghe, “il rancore” anche perché le regole sull’elettrico, ripete, “le ha fatte la politica e una società globale si adegua alle regole”. Meloni cosa ha intenzione di fare? Se Stellantis dovesse un giorno lasciare, perché non ottiene le risposte che cerca, incatena Elkann allo stabilimento? Lo frusta? Gianluca Ficco, segretario nazionale Uilm, responsabile del settore auto, si è rivolto ai partiti e ha detto: “Se ci volete aiutare, le polemiche non servono. E’ inutile rimpiangere la Fiat. E’ andata. Quel treno è finito. Anche rinfacciare a Stellantis i soldi che la Fiat ha avuto dallo stato negli anni Settanta non ci aiuta”. Sempre Ficco: “Non gliene frega nulla alle multinazionali dei soldi che sono stati dati in passato. Gli frega dei soldi che oggi le grandi potenze gli danno per investire nel paese”. Stellantis è una multinazionale. Ha investito cinque miliardi in Brasile, sta per aprire due stabilimenti in Algeria, investe in Canada. Per una multinazionale le avversità sono barriere e le barriere spingono ad andare altrove. Il governo, e lo ha già raccontato il Foglio, intende inseguire Elkann. Meloni, quando sente la parola Elkann, si imbroncia. Meglio tenere il broncio o ascoltare il sindacalista? A Elkann, la premier continua a dare del maleducato, lo vuole alla Camera, come Pinocchio, accompagnato dai carabinieri, e non si accorge che gli sta facendo il più grande regalo. A furia di bastonarlo gli darà il pretesto per dire: è Meloni che ci caccia.