l'intervista
Sbarra (Cisl): “Quattro scioperi generali consecutivi? Da Cgil e Uil pregiudizio o inefficacia”
Il segretario della Cisl: "Se la protesta massima diventa un rito compulsivo, l’arma si spunta e la rappresentanza si sfibra in una progressiva disintermediazione che rende il sindacato sempre meno rilevante. Fa bene Mattarella a valorizzare i segnali positivi del sistema paese. La manovra? Ci sono cose che ci piacciono. Perché non intestarcele?"
“Quattro scioperi in quattro anni significa che o c’è un pregiudizio ideologico di fondo, oppure si è del tutto inefficaci nell’azione negoziale. In ogni caso mi sembra una brutta notizia per la qualità di quella rappresentanza sindacale”. Il segretario della Cisl Luigi Sbarra commenta così al Foglio l’indizione dell’ennesimo sciopero generale da parte di Cgil e Uil sulla manovra. Una decisione, quella di Landini e Bombardieri, che sembra tutta politica. “La Cisl ha sempre considerato lo sciopero generale come lo strumento di ultima istanza, il più radicale, che va usato quando fallisce ogni tentativo di costruzione mediante trattativa”, ragiona Sbarra. “Per questo in ogni sciopero generale c’è anche una implicita ammissione di fallimento del mandato che ci danno lavoratori e pensionati. Che è essenzialmente uno: assumerci responsabilità ai tavoli. Se la protesta massima diventa un rito compulsivo, l’arma si spunta e la rappresentanza si sfibra in una progressiva disintermediazione che rende il sindacato sempre meno rilevante. È la stessa dinamica in cui sono finiti i partiti. Non dobbiamo ripetere l’errore”.
Eppure l’abbiamo visto ancora l’altro giorno, quando gli stessi Landini e Bombardieri hanno preso a criticare i dati sull’occupazione dell’Istat. Facendo politica il sindacato rischia di perdere credibilità? “Il sindacato deve fare il sindacato. Non strizzare l’occhio ai partiti o fare da traino a un’opposizione politica che non ha davvero bisogno di collateralismi”, risponde Sbarra. “Quanto all’occupazione, i dati confermano i trend positivi: con 516mila occupati stabili in più rispetto a un anno fa e un calo di 144mila rapporti a termine. Non significa che non vi siano criticità: vanno cercate nei livelli qualitativi e risolte senza formule demagogiche o semplicistiche. La priorità numero uno si chiama apprendimento: nel gap di competenze c’è la chiave di un mercato del lavoro sempre più a clessidra, polarizzato dalle forze centrifughe della tecnologia e di una scarsa, scarsissima capacità di formare le persone 'dalla scuola alla pensione', orientandole in ogni territorio nella fascia alta del sistema produttivo. Due parole dovrebbero diventare l’assillo di ogni governo: politiche attive”. Anche il presidente Mattarella ha riconosciuto la crescita del paese. Dalle altre sigle c’è una fuga della realtà per fini politici? “Apprezziamo molto le sue parole. È un richiamo al linguaggio della realtà, e un monito a guardare a complessità che non ammettono populismi, politici o sociali. Giusto valorizzare i segnali positivi del sistema paese, del pil, dell’export, dell’occupazione stabile. E altrettanto corretto è dire che bisogna fare di più, sostenere questo andamento, redistribuendo ricchezza e opportunità, remando insieme verso un ‘Contratto sociale’, come l’ha definito Mario Draghi, che metta insieme protagonismo del lavoro, retribuzioni e produttività, innovazione e coesione”. Parliamo della manovra. Cosa vi piace? Il taglio del cuneo fiscale va nella giusta direzione? “La riduzione del cuneo fiscale è partita 4 anni fa con il governo Draghi su nostra esplicita richiesta. Fu giudicato un piatto di lenticchie dagli altri sindacati, salvo poi rivendicarlo. Il taglio è stato successivamente rafforzato e, da quest’anno, è reso finalmente pluriennale”, spiega il segretario della Cisl. “Più in generale, la legge di Bilancio fa quello che può, stretta com’è dai vincoli del patto di stabilità e dal peso del superbonus. Una tassa occulta complessiva di 50 miliardi. Le cose che ci piacciono sono quelle che rispondono alle nostre rivendicazioni: operazione su cuneo e irpef, adeguamento delle pensioni all’inflazione, sostegno alla contrattazione decentrata con la defiscalizzazione confermata al 5% sui salari di produttività e il potenziamento della detassazione sui fringe benefit. Non mancano 5,5 miliardi in tre anni per i rinnovi dei settori pubblici, aiuti alle famiglie e un passo ulteriore di rafforzamento con nuove risorse sul Fondo Sanitario Nazionale. Perché non dovremmo intestarcele?”.
Quali migliorie proporrete nell’incontro di martedì a Palazzo Chigi? “Si tratta prima di tutto di difendere i risultati conquistati, perché quello che entra oggi in Parlamento sia eventualmente migliorato ma non certo distorto o rimosso. Contemporaneamente alla presidente del Consiglio diremo che è necessario rafforzare gli sgravi per le fasce medie, elevando la soglia di decalage sul cuneo fiscale ai 60 mila euro o abbassando le aliquote del secondo scaglione Irpef. Le pensioni minime vanno innalzate, così come le risorse sulla non autosufficienza. Altra questione: eliminare il taglio strutturale degli organici nella scuola e al blocco parziale del turnover su PA, Università e Ricerca. Vanno poi ripristinate le risorse distratte dal Fondo Automotive”. Secondo l’Anfia quel taglio è stato un errore. E’ così? “Va sanato quanto prima perché rischia di compromettere gli investimenti in uno dei settori più importanti del nostro tessuto industriale. Nel 2025 abbiamo una sottrazione di 550 milioni: si cominci a rimettere quella quota. Un messaggio però vorremmo mandarlo anche a Stellantis: i tempi degli incentivi a pioggia sono finiti. Gli aiuti servono, ma vanno condizionati a investimenti e a un piano industriale socialmente responsabile”.
L'economista Sergio Ricossa diceva che “il grande compito del sindacalismo dovrebbe essere quello di far partecipare i lavoratori alla civiltà tecnologica, non sabotarla per loro mezzo”, quel che forse sembrano fare alcune sigle. E' d'accordo? "Come potremmo non esserlo", dice Sbarra. "La partecipazione dei lavoratori alle decisioni e agli utili aziendali è la chiave per un nuovo modello di sviluppo economico. Se la nostra legge di iniziativa popolare sarà approvata, si realizzerà una svolta attesa dalla nascita della Costituzione. La partecipazione non solo responsabilizza i lavoratori, ma migliora produttività e salari, radica gli investimenti, aumenta la resilienza degli asset produttivi, il controllo sul rispetto delle regole sulla sicurezza, il coinvolgimento profondo della società nella dialettica democratica".