Il caso

Dossieraggi e paranoie, nella sede di FdI spunta un disturbatore di frequenze contro le intercettazioni

Simone Canettieri

Dopo gli scandali di spionaggio l'apparecchio viene acceso e utilizzato durante le riunioni dei massimi dirigenti. I timori delle sorelle Meloni: "Siamo circondate"

Lo chiama “schifo”. Dice che ormai “siamo vicini all’eversione”. Promette che “il governo sarà implicabile”. Ed è pronta all’ennesima infornata di provvedimenti legislativi. Giorgia Meloni si sveglia la mattina e annusa aria di dossieraggi, peggio del napalm. La cronaca le viene incontro con un rosario  di scandali – l’ultimo quello di Equalize a Milano – impossibili ormai da sottovalutare. L’idea di essere “circondati”, di potersi fidare di pochissime persone impregna le stanze, di natura malfidate fino all’ossessione, di Palazzo Chigi. Ma anche dei ministeri più sensibili. Come quello  di Guido Crosetto – già oggetto delle attenzioni delle ricerche del finanziere Pasquale Striano – che l’altro giorno davanti all’ennesimo bubbone  ha parlato di “punta dell’iceberg”. Il clima è questo, dunque. E anche Fratelli d’Italia, il partito collegato con un doppio filo al governo, non ne è immune. Al punto che da un po’ di tempo, dopo gli ultimi casi così eclatanti, nelle stanze che contano di Via della Scrofa,  dove si svolgono riunioni riservate  a porte chiuse, è spuntato un disturbatore di frequenze. Un aggeggio, facilmente reperibile su Amazon, che impedisce ai cellulari di ricevere o trasmettere onde radio. 

   

Uno scrupolo ben fondato o forse una paranoia o più semplicemente una precauzione sulla scorta dei fatti. Quelli raccontati dalle cronache negli ultimi mesi dove “lo spione” è diventato un avversario invisibile ma costante, che ogni tanto cade in trappola, ma che è duro da debellare e sembra, a detta dei vertici di FdI, riprodursi. Sta lì. Un dolore intercostale, altro che opposizione. Non a caso, fra via della Scrofa e Palazzo Chigi – castello e residenza estiva delle regine della destra Arianna e Giorgia Meloni – rimbalzano ormai ragionamenti di questo tipo: “Siamo tutti ascoltati, siamo tutti dossierati, c’è un grande disegno, un complotto. Ci controllano”. Nel mirino della manina o dell’orecchio indiscreto “c’è solo il centrodestra e non da adesso, ma da quando si è capito che avremmo vinto le elezioni e saremmo andati a governo”, ripete Meloni come un mantra quotidiano. Se poi si aggiungono a questi pensieri storti la sfiducia “verso una parte della magistratura politicitizzata”, la presenza, acclarata, di alcuni funzionari dello stato infedeli e il rapporto complicato con un pezzo di servizi segreti dell’Aise (esplicitato dalle dichiarazioni di Crosetto nella deposizione ai pm di Perugia sul caso Striano, motivo per cui è stato convocato dal Copasir) lo scenario diventa esplosivo. Ansia palpabile. In questo contesto nella stanza che fu di Giorgio Almirante spesso occupata da Arianna Meloni e dalle altre figure apicali del partito negli ultimi tempi capita che venga acceso un disturbatore di frequenza. Tecnicamente si chiama Jammer. L’apparecchio quando entra in funzione crea un campo magnetico e neutralizza le comunicazioni in un’area circoscritta. Impedisce le intercettazioni. Una tecnologia che viene usata, di solito, per proteggere siti sensibili come ambasciate, aeroporti o centri di ricerca. E’ tutto un “non mi posso fidare”, “spegni il telefono”, “accendiamo questo” nelle ultime settimane. Non si sa se dietro queste accortezze ci sia una sfiducia generalizzata o un eccesso di zelo complottista. Di fatto ormai tutto, fra i dirigenti del partito ma anche nel palazzo del governo, passa dalla chat di Signal, un’applicazione di messaggistica istantanea centralizzata che consente di effettuare chat e chiamate audio-video crittografate end-to-end. E soprattutto è considerata più sicura di WhatsApp nella tutela dei metadati e quindi della privacy, garantendo, per esempio, che i file non siano condivisi con entità esterne. 

   

A metà fra una sindrome da “Cimitero di Praga” e una serie di allarmanti fatti incontrovertibili tutto si mischia e poi rientra e scava, su e giù, nel dna di questa destra di governo. La cui parola d’ordine resta: “Ma posso fidarmi?”. Dinamiche già viste in tutti i gruppi  ristretti di potere: ora è la Fiamma a essere magica, prima lo fu il Giglio (con Matteo Renzi), poi il tortello (con Pier Luigi Bersani) e poi il vero e proprio cerchio (a sostegno di Umberto Bossi) per non parlare del Raggio magico in Campidoglio ai tempi della sindaca grillina Virginia Raggi che saliva sul tetto di Palazzo Senatorio per prendere decisioni con il fidato capo staff Salvatore Romeo (“Saliamo lì sopra perché in ufficio ci sono le cimici”, disse il collaboratore al Messaggero). La storia si ripete e si amplifica ora dentro Fratelli d’Italia visti i dossier, le irruzioni esterne nei conti corrente, i dossier e i timori. E poi le chat che escono, così come i virgolettati delle riunioni riservate. A Palazzo Chigi c’è sfiducia anche nei confronti dei collaboratori. Mania del controllo, sospetti. Alcuni, fra chi conta assai, vengono bollati come “spie”. E cioè amici dei giornalisti nemici. Non se ne esce. Taci, il nemico ti ascolta, anzi fammi accendere il Jammer, e poi parla. E oggi magari ci sarà una nuova puntata: “Ma questa storia del disturbatore di frequenze come sarà uscita?”.
    

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.